L’autunno, “fredda estate dei morti”, non è solo silente momento di transizione. Questo tempo suggella l’incontro con i fantasmi, il congelamento di vecchi ricordi, il timido e aranciato rifiorire di fiammeggianti incontri, amori dal bruciore eterno. Fissità del corpo inchiodato dal lento freddo della stagione e melanconica vibrazione pulsante dello spirito volteggiante con le foglie cadenti. In questo scenario dove il corpo è immobile e annichilito, l’anima errante e tesa verso l’alto intoccabile, nel deserto più lontano si percuote San Gerolamo, soggetto d’incontro tra la classicità decadente e il cristianesimo nascente. Opera monocromatica ed incompiuta.
San Gerolamo, Leonardo Da Vinci, Pinacoteca Vaticana, periodo fiorentino.
L’Obliquo tormento
Consumi la vita
già prosciugata
di stenti.
Nervi contratti,
definiscono la forma
di un morto prostrato
a metà.
Hai creduto nelle tue costole,
le prime di Adamo,
più di quanto un re non
abbia mai fatto per
le carni di un bue.
Perché discutere
con i tuoi dissimili
se attorno hai l’anima di Betlemme?!
Basta una pietra
a percuotere il petto,
ogni goccia di sangue
a salvarti da un male,
un lamento strozzato
nel deserto
a disperdere il peccato.
Il leone ruggisce pacato
alla tua misericordia,
la stessa da te negata
al genere umano.
Quante parole di
Plauto e Cicerone
saranno ancora
abortite nella tua mente!
Rinneghi,
con la tua fede,
l’antica emorragia
della classicità:
per vestire quel lembo di
passione eterna,
per affievolire quella voglia di
spada rovinosa,
per sentirti degno delle
tortuose rocce secolari.
I duelli di penna sono da ora finiti,
povero vecchio,
dagli occhi calanti fino
a cascare per terra.
Il cielo non guarda
alle tue condizioni,
necessario è il timore
che ti ha acceso,
il Sommo timore
ad averti piegato,
ad aver soffocato la
bellezza umana restante.
Non è per lo sperato riposo
l’immagine scomposta di
crocifisso incompiuto,
storia di dolore.
Combattente senza forza
continua a
stringere la pietra
che ti ha reso morente,
perché sarà questa
sotto la
sudata croce
a farti Santo.
Rachele Siniscalchi Montereale