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LA PROTESTA SENZA VELI

Sono cominciate lo scorso 16 settembre, alla morte di Mahsa Amini, le sempre più ampie proteste contro il regime teocratico dell’Iran. Il 13 settembre la ventiduenne proveniente dal Kurdistan iraniano, in vacanza a Teheran insieme alla famiglia, è stata fermata e arrestata davanti alla fermata della metro dalla polizia religiosa per aver indossato l’hijab in modo inappropriato. Tre giorni dopo è stata trasferita in un ospedale di Teheran perché, secondo la polizia, avrebbe avuto un attacco cardiaco in carcere, versione smentita subito dai genitori della ragazza. Una perizia di un medico legale che ha esaminato il corpo della donna sostiene che la morte di questa non sia avvenuta a causa delle presunte percosse, ma per ipossia, una carenza di ossigeno aggravata da malattie preesistenti della giovane, che avrebbe provocato danni cerebrali e il rapido deterioramento di altri organi. I risultati del rapporto sono stati presentati dall’ IRNA, l’agenzia di stampa ufficiale dell’Iran. La famiglia di Amini, tramite il suo avvocato e appoggiata dalle organizzazioni per i diritti civili, ha contestato i risultati della perizia, avanzando il sospetto che la ragazza sia morta a causa delle percosse subite mentre era sotto la custodia della polizia. Niloofar Hamedi, la giornalista che per prima ha dato la notizia della morte di Mahsa Amini, pubblicando su Twitter la foto dei genitori della ragazza che si abbracciavano fuori dal reparto dove era ricoverata, è stata arrestata (la Ong Committee to Protect Journalists stima che siano 28 i giornalisti scomparsi in questi giorni per il loro lavoro di documentazione di ciò che sta accadendo) e di lei si hanno scarse notizie. L’obbligo di indossare il velo è in vigore in Iran dal 1979, anno della rivoluzione khomeinista e negli ultimi mesi, con un nuovo decreto in vigore dal 15 agosto, riguardante anche la castità, il governo del presidente Ebrahim Raisi ha pianificato una serie di ulteriori restrizioni sulla libertà di vestirsi delle donne. Per esempio chi pubblica foto su internet senza hijab rischia di essere privata, per un periodo compreso tra i sei mesi e un anno, di alcuni diritti, come l’ingresso negli uffici governativi, nelle banche o l’utilizzo dei mezzi pubblici. Se sono le dipendenti del governo a non rispettare le norme vengono licenziate. Il governo iraniano starebbe poi pianificando l’utilizzo di tecnologie per il riconoscimento facciale sui mezzi pubblici allo scopo di identificare le donne che non indossano l’hijab. La violenza subita da Mahsa Amini non è né la prima né l’ultima di queste settimane. Amnesty International, in riferimento al solo periodo che va dal 20 al 30 settembre, denuncia l’uccisione di 144 manifestanti, di cui 23 minorenni. Dall’inizio della protesta si susseguono gli arresti e del 16 ottobre è la notizia dell’incendio nella prigione di Evan, scoppiato dopo una rivolta di detenuti e nel quale sono morte 4 persone e 61 sono rimaste ferite. L’ondata di proteste per i diritti civili delle donne scatenatasi alla morte di Mahsa Amini si aggiunge alle rivendicazioni socioeconomiche di una popolazione, quella iraniana, che per lungo tempo è stata considerata un sostegno al regime. La svalutazione del riyal, l’aumento del costo della vita, una riforma dei sussidi, il prezzo del carburante e la crisi economica aggravata dalla fuoriuscita degli Stati Uniti – nel 2018 con l’amministrazione Trump – dagli accordi sul nucleare, con annesso rinnovamento delle sanzioni economiche all’Iran, sono la ragione socio economica del dilagare delle proteste. Non più solo le donne che tolgono l’hijab e lo bruciano, non più solo studentƏ e universitarƏ, non solo a Theran, ma in moltissime regioni dell’Iran, ovunque, chiunque abbia fame di diritti e di condizioni materiali diverse dall’estrema povertà, si ribella al regime. Il desiderio di libertà della borghesia si unisce alla voce del popolo affamato che va perdendo i tratti più conservatori. Per questo la forza eversiva delle proteste non sembra destinata ad esaurirsi nel breve termine. E non mancano in tutto il mondo simboliche manifestazioni di solidarietà per le donne iraniane, come il taglio di una ciocca di capelli postato sui social. Se la situazione in Iran spinge anche a gettare un occhio alle condizioni di casa propria, ci si accorge che Paese che vai, minaccia ai diritti che trovi.

Enrica Colasanto

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