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LA DISTORSIONE DEL MESSAGGIO POLITICO ATTRAVERSO I SOCIAL

La semplificazione dei messaggi, la polarizzazione del dibattito ed il crescente distacco dalla realtà sono ormai gli strumenti della politica che ormai integrano i canali dei social al punto di diventarne spesso vittima in termini di dinamiche distorsive. Lontani dalle prime utopie della democrazia digitale, i social media a servizio della politica stanno impoverendo e piegando il confronto politico a una logica autoreferenziale, basata sull’emotività e sottratta a qualsiasi controllo. Se noi abbiamo visto per molto tempo, nei social, la grande speranza di dinamiche conversazionali, di un abbattimento della dimensione di intermediazione e quant’altro, oggi stiamo vedendo quello che davvero, per come sono strutturati, consentono di fare. Il che vuol dire che la comunicazione politica risulta essere avvitata su messaggi molto semplici e ripetitivi, basati spesso su una dimensione che viene definita “memetica”, ossia una dimensione di complessità che deve necessariamente essere conclusa in 30 secondi, nello spazio di un tweet, di Instagram o del tempo che un utente è disponibile a guardare un video su Facebook, piuttosto che su un altro media. Se andiamo ad analizzare la dimensione di collegamento tra contenuti e messaggio, vediamo che l’attenzione verso il contenuto, sia da parte degli emittenti – quindi i politici – che da parte dei fruitori, i cittadini, è sempre più bassa. I social come specchio autoreferenziale e poco importa se è vero, basta che confermino quello che vogliamo sentirci dire. Per loro stessa natura i social media tendono a creare e amplificare semplificazioni che rischiano di trasformarli in grancasse dell’odio, che polarizzano ulteriormente il dibattito. Una dinamica che porta le campagne elettorali ad isterilirsi e concentrarsi su temi contenutisticamente sempre più limitati e presentati con crescente semplificazione. La grandissima polarizzazione nasce da quelle che vengono definite “camere dell’eco”, ogni utente, in questo caso ogni cittadino, è chiuso all’interno della sua camera dell’eco, nella quale finisce per sentire sempre di più e con sempre più ridondanza ciò che vorrebbe sentire piuttosto che ciò che è. E questo naturalmente genera dei fenomeni distorsivi della realtà che sono cavalcati da chi si occupa di comunicazione politica, basandosi su elementi che hanno una dimensione di distanza dalla realtà fattuale sempre più alta. Quindi ognuno si sente legittimato a dire qualsiasi cosa, abbastanza certo che non ci sarà mai un reale confronto. Poco importa se viene promesso qualcosa di non realizzabile, qualcosa che l’economia non consente, l’importante in questo momento è agganciare il cittadino attorno a una promessa, che diventa del tutto inverificabile. Oggi il rischio di essere vittime delle “fake news” è altissimo ed è altissimo per le caratteristiche peculiari di questo fenomeno, che è un fenomeno generativo, figlio di un altro fenomeno che è stato sistematizzato, quello della post-verità e di messaggi rispetto ai quali la dimensione razionale passa in secondo piano rispetto a quella emotiva. Un politico diceva che la differenza tra un politico e uno statista si vede nel fatto che lo statista pensa alle prossime generazioni, mentre il politico pensa alle prossime elezioni. Noi oggi siamo governati da una generazione di politici che non pensa tanto alle prossime elezioni quanto, spesso e purtroppo, al prossimo like. Così il dubbio è che la politica non trovi il tempo per curarsi di questioni di più ampio respiro, quali ad esempio la reale corrispondenza tra seguito virtuale e quello reale, ossia della propria reale capacità di spostare massa critica e vincolare gli altri attori alle proprie scelte democraticamente legittimate che riflettano realmente i valori, le sensibilità e gli orientamenti più diffusi tra la collettività.

Luigi Bernabò

Leggi  QUI  la copia digitale de Il Commendatore Magazine.

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