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ITALIANITÀ IN ARGENTINA – LA STORIA DELLA MIA FAMIGLIA EMIGRATA A BUENOS AIRES

Noi italiani siamo un popolo di emigranti. Nel corso della storia siamo sbalzati in diversi punti del globo, mettendo in una valigia di cartone tanti sogni e speranze. Ma abbiamo portato con noi, anche la nostra immensa cultura, i nostri inconfondibili usi e costumi e, perché no, i nostri innumerevoli difetti. Detto ciò, sappiamo che ci sono stati tanti periodi storici in cui l’emigrazione fu un vero e proprio boom. Circa trenta milioni di italiani tra l’ottocento e il novecento hanno attraversato l’oceano per un bisogno chiamato fame; questo numero fa riflettere e non poco. Io mi soffermerei su una terra ormai sorella che è l’Argentina. Il luogo dove gli italiani si sono trasferiti e ci sono rimasti il più a lungo possibile. Statisticamente, l’argentino di origine italiana rappresenta il primo gruppo etnico del Paese. Insomma, più del 50% della popolazione argentina riconosce una qualche discendenza da avi italiani. Gli argentini ritengono che una parte importante del sentimento nazionale argentino ha molto a che fare con le tradizioni italiane. Anche per mia personale esperienza posso garantire che quando metti piede in Argentina ti rendi conto che l’italianità è dappertutto. In ogni casa, in ogni famiglia, in ogni quartiere, nei modi di parlare, nelle insegne dei negozi, sulle facce della gente. Questo articolo lo dedico alla mia famiglia che in Italia viene considerata argentina e, al contempo, in Argentina ritenuta italiana. Mio nonno insieme a suo fratello decise, subito dopo la seconda guerra mondiale, di attraversare l’oceano, su una nave che non toccò terra prima di un lungo mese di navigazione. Sapendo a malapena leggere e scrivere l’italiano si avventurò in una terra straniera lontanissima da casa, e dovette farlo perché la guerra aveva distrutto l’economia di un Paese e anche il sogno di un roseo futuro per un ragazzo di provincia del Sud. Dopo essersi ambientato, nella terra del Tango, e aver trovato un lavoro, fu raggiunto da mia nonna che in Italia, prima di poter partire, dovette sposarsi per procura. A San Justo, nelle vicinanze di Buenos Aires, nacquero mio padre e mio zio, cresciuti tra due culture strettamente connesse ma anche profondamente diverse. La lingua appresa dai genitori e dagli altri parenti residenti in Argentina era un mix tra diletto del Sud Italia e lo spagnolo castigliano. Cresciuti tra il sapore di una pizza con la “pummarola” e “tomar el mate” ogni pomeriggio d’avanti al porticato di casa (bere il mate, bevanda tipica a base di erbe). Giocando a pallone nel magico quartiere della Boca, dove in quegli anni sgambettava anche Maradona, El Pibe de Oro. I miei nonni hanno lavorato duramente in questo Paese alla fine poi non così straniero; che gli ha dato modo di vivere dignitosamente nonostante i sacrifici e le paure di due giovani lontani dalla loro terra. Una nazione che, anche se acerba, li ha integrati, senza ghettizzarli mai. Probabilmente sarebbero rimasti lì se non fosse arrivata l’era dei “desaparecidos”. Quando circa 30.000 persone scomparvero tra il 1976 e il 1983 perché accusate di aver compiuto attività “anti governative”. Fu una cruenta dittatura e un genocidio che l’ha resa una delle pagine più buie da ricordare del secolo scorso. Questo fu il motivo del ritorno in patria; il ritorno alle origini dei miei nonni e di un nuovo inizio per mio zio e mio padre all’ora diciasettenne, in cui tutt’ora scorre sangue italiano, ma batte un cuore per una bandiera di colore blanco y celeste. Questa è la storia della mia famiglia ma, in fin dei conti, è la storia della stragrande maggioranza di famiglie emigrate all’Estero, che hanno avuto il coraggio di rincorrere un sogno senza subire passivamente ciò che offriva la propria condizione sociale. La parola straniero non dovrebbe esistere. Siamo figli di un mondo che oggi ci dà sostegno ma forse domani ci obbligherà a fare le valigie e andare via per puro spirito di sopravvivenza. Ricordiamo che, nel momento in cui diamo accoglienza, stiamo solamente ricambiando un favore già ricevuto.

Erica Desiderio

 

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