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LA SHOAH AVVIENE NELLE NOSTRE CASE

È lecito chiedersi se non sia stato mascherato, nei secoli, un assoggettamento delle scienze umane al potere (e quindi un controllo rigoroso delle istituzioni sull’individuo) e se non sia ravvisabile, finanche ai giorni nostri, in un potere che cristallizza la razza come elemento di discriminazione, una scelta non più meramente ideologica, come accadeva nelle fattispecie dei noti regimi dittatoriali del Novecento, quanto di utilità pratica, avente quale fine ultimo il controllo delle masse. Parliamo di nuove forme di razzismo, costruite scientificamente e sull’idea della difesa sociale, alla maniera di Foucault, il quale tentò di spiegarne la natura alla luce dei meccanismi del potere (e del bio-potere), superandone le istanze patologiche. Dovremmo allora prendere in considerazione le sfaccettature che assumono le relazioni conflittuali tra una pluralità di soggetti all’interno di una società (ossia lotte di classe, colonialismo, dominazioni, ecc.), le quali delineano di prevalenza nuove forme di razza a discapito di altre. E la questione investe anche il piano storico, lì dove il potere costantemente si autoproclama unica fonte di garanzia, ma scaturisce, in realtà, da abusi e violazioni delle libertà individuali. Proprio perché siamo sempre più lontani dalla nozione di razzismo tradizionale e sempre più vicini a quella di un conservatorismo della società rispetto agli elementi che possano penetrarla e deteriorarla, sorge il dubbio che anche gli studi penalistici dell’800 (penso soprattutto al Positivismo scientifico e a Lombroso) siano stati attraversati dalle medesime intenzioni e finalità, che non siano del tutto immuni da ragionamenti teleologici improntati sulla necessità di filtrare e purificare, che debbano essere letti come la trasposizione, dal settore filosofico a quello giuridico, della differenziazione della specie e della lotta per la sopravvivenza (se l’identificazione del criminale precede quella del crimine, il diritto penale persegue la persona e non il fatto!). Alla stessa stregua, la civiltà odierna vive un momento di intense trasformazioni tecno-ideologiche, che lasciano intuire l’avvento di nuove forme di razzismo, le quali, essendosi oramai svincolate dalla primordiale separazione tra la vita e la morte, si legano invece alle strategie di potere, agli squilibri economici, ai divari del mondo della produzione e, più in generale, agli effetti della globalizzazione. Il rischio non è, come paventava Primo Levi, che quanto sia accaduto ad Auschwitz possa ripetersi. Il rischio, semmai, è che quanto sia accaduto si stia già ripetendo con forme e modalità che i nostri occhi non sono sempre in grado di riconoscere. Mentre in passato era facile riconoscere un regime totalitario in base ai suoi tratti distintivi (il sabato fascista, le grandi adunate di piazza della Cina e della Russia Sovietica), che sfociavano sempre nell’irreggimento delle masse, nell’omologazione e nel consenso ottenuto per coercizione, le contemporanee forme di totalitarismo non ricorrono più a elementi cosi “vistosi”, perché esse si sviluppano su un livello invisibile. Ne sono un esempio i processi mediatici, il giustizialismo, il filtraggio della ipermedialità, il politicamente corretto, così come lo è anche il perbenismo, ossia l’esaltazione di un’idea di bene e di buono che orienta le scelte politiche e imprenditoriali, ma che, a ben vedere, non si sono mai confrontate con un’idea di male. Anzi, non si confrontano con nulla, perché si autoproclamano fonte di verità indiscussa e da condividere a priori. Non c’è via d’uscita per l’individuo, che mai come oggi è privato della libertà di scegliere, si ritrova catapultato in una realtà sconfinata ma senza modelli di riferimento. La società li ha annientati tutti. E un qualsiasi tentativo di ribellione viene immediatamente sedato e ricondotto a una delle categorie “di contenimento” già ampiamente previste. Dovremmo, da intellettuali, impegnarci per forgiare una nuova figura di divergente, creando un prototipo che, sfuggendo alle predette categorie, sia in grado di fornire elementi di una divergenza concreta e misurabile. Oggi la Shoah avviene nelle nostre case e non nei campi di concentramento. È una Shoah senza diaspora, per cui non occorre deportare le persone. Ciò è possibile grazie a una rete che, essendo tale, si può allargare a dismisura, la si può estendere anche nel Metaverso; ma la verità è che restiamo seduti — e dunque, confinati — dinanzi ai nostri pc e i nostri contatti, finanche le nostre relazioni sentimentali finiscono con l’incarnare dei novelli Kapò. Tutto ciò che viene ritenuto socialmente pericoloso (il libero pensare, la capacità critica) viene sottoposto a limitazioni e restrizioni, nella convinzione (riprovevole) che il sacrificio del singolo debba essere subordinato a una sorta di ragion di Stato, che spacciano, sapientemente, per benessere collettivo.

Milena Cicatiello

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