Fossi nei cittadini di Agropoli mi vergognerei. La politica è una cosa seria. Almeno lo era. Fino a quando non si è scelto, in questo piccolo scorcio d’Italia, di delegare il pensiero. Di smettere di occuparsi della cosa pubblica, di lasciarla in mano a pochi o, peggio ancora, ad uno solo. Agropoli è solo lo specchio di un sistema che, da almeno due decenni, attanaglia gran parte del meridione. La fine dei partiti e la comparsa dei gruppi di potere hanno trasformato le competizioni elettorali in guerre tra bande. E i cittadini? Assistono e, come ad uno spettacolo comico, se la ridono. Ma, senza aver capito che quelli “presi per il culo” sono loro. Agropoli, ormai, è una città satellite. Le decisioni che la riguardano vengono prese altrove, a Torchiara o a Capaccio Paestum, poco importa. Come in epoca feudale, il signore dispone e i vassalli eseguono gli ordini. Ad Agropoli, quella che è andata in scena in questi giorni, è una commedia che dovrebbe far riflettere i cittadini, a cui è rimasta solo la “misera” arma del proprio voto. Ebbene sì, assai misera poiché da anni svenduta all’ordinante per una promessa, un obolo, un “cuoppo di fravaglia”. E, una volta svenduta, qualsiasi cosa perde di valore, fino quasi ad azzerarsi. Ecco, cari agropolesi, i fatti si sono incaricati di certificare che il vostro voto valeva, vale e varrà zero. Sempre zero. A questo punto, l’unica vostra carta di riscatto sarebbe quella di non andare proprio a votare. Disertare le urne alle prossime comunali del 12 giugno, di fronte ad una siffatta situazione. Sarebbe un segnale di dignità che meritate di dare a ciascuno di voi.
Carmine Caramante
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