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APPROFONDIMENTI – IL PARCO DEL CILENTO E VALLO DI DIANO. LE SUE INFINITE RISORSE E LE IDEE DI FUTURO

Il Parco del Cilento e del Vallo di Diano è un organismo unico e variegato in cui paesaggio e paesi, strade e monumenti sono a disposizione per un turismo prezioso, di cui i primi a poterne usufruire potrebbero essere i suoi stessi abitanti, le scuole, le associazioni, attraverso manifestazioni e approfondimenti ideati nella consapevolezza che la sua mediterranea bellezza, messa a disposizione dei visitatori, è un arricchimento storico, culturale e relazionale. Un Parco che comprende più di 100 paesi, suddiviso in 7 settori, caratterizzati da fiumi e monti scenografici. Un Parco che proprio attraverso una storia millenaria dei luoghi mostra il battito del suo cuore più antico e semplice: il culto alla Madonna e a San Michele che qui, come nell’intero Sud d’Italia, ruota attorno alla leggenda delle Sette Madonne sorelle e il fratello San Michele (rintracciate una in ogni settore) e che si suddividevano in altri microcosmi di sette luoghi e culti religiosi. Possiamo immaginare l’esteso Parco come un rettangolo delimitato da quattro vie naturali d’accesso che circondano l’ambiente centrale ricco di montagne e vallate su cui si sono arroccati i paesi nei secoli. La Via del Mare, con il lungo balcone sul Mar Tirreno che va dalla spiaggia di Paestum (Golfo di Salerno), costeggiando il Cilento antico fino a Casalvelino e Velia (sul Monte Stella la cappella della Madonna della Stella). Proseguendo con il primo golfo fino a capo Palinuro (sul Monte di Catona, la cappella della Madonna del Carmine). Costeggiando la Marina di Camerota ecco il secondo profondo golfo di Policastro che con Sapri conclude la Campania (sul Monte Bulgaria l’antico santuario della Madonna di Pietrasanta).

Le tradizioni antiche e la leggenda delle 7 madonne e un fratello

Attraverso questa via giunsero i naviganti greci per fondare quelle nuove colonie che diedero vita all’avventura della Magna Grecia solcando il mare Nostrum. Dagli approdi lungo le coste, alle confluenze dei fiumi in una zona rigogliosa e già abitata giunse la cultura e religione della civiltà greca, a cui seguirono le rotte percorse dal primo cristianesimo con il viaggio dei santi Paolo e Pietro, le incursioni saracene e i monaci in fuga provenienti dall’oriente bizantino. L’antica Poseidonia greca divenne, nonostante le mura di cinta, la lucana Paistos, per essere poi conquistata e trasformata dai Romani in Paestum. Per diventare infine un sito che, sommerso dai problemi dell’impaludamento, dormisse sconosciuta fino all’epoca del Neoclassicismo settecentesco. Mentre sul monte Calpazio domina il prototipo delle Madonne in trono con in mano il frutto del melograno e il Bimbo Gesù in piedi sulle sue gambe, come nelle antiche e smarrite icone orientali (La Madonna del Melograno di Capaccio vecchio). Le si oppone la Via del Vallo detto di Diano (antico nome di una delle sue cittadine più importanti oggi, Teggiano), impronta di un antico lungo lago longitudinale (dal monte più alto, il Cervati, la cappella della Madonna della Neve, contesa tra Sanza e Piaggine). Una via interna percorsa dai Tirreni, dai Lucani attratti dai percorsi verso le coste e le pianure. La Via bizantino-calabrese, verso Sud, da cui risalivano i monaci orientali provenienti dalle ondate migratorie nei periodi di persecuzione, dalle zone del fiume Lao; a cui seguirono i monaci orientali calabresi, come san Nilo che fondò, proseguendo il suo viaggio, l’abbazia di Grottaferrata. Proprio nel Cilento assisteremo alla non sempre facile convivenza tra rito bizantino e rito latino (benedettino proveniente da Cava) e alla definitiva scomparsa del primo. Cuore sacro del Parco è il Santuario della Madonna di Novi Velia sul Monte Gelbison. La sorella più importante o più antica viene definita nelle tradizioni orali la Madonna Nera; anche se in questo caso possiamo definirla Scura, perché riferita alle immagini iconografiche del volto di tradizione bizantina, che la leggenda vuole San Luca abbia ritratto con il volto scuro. La Via del Medioevo, verso Nord, che la collega alla città di Salerno, nel lungo Medioevo. I longobardi provenienti dal Nord Europa avevano fondato i principati di Pavia e Benevento e cercando uno sbocco sul mare si spinsero da Benevento a Salerno. Ma una nuova dinastia stava per imporsi, quella normanna che era scesa in aiuto delle lotte in Puglia; Roberto il Guiscardo, eliminato l’erede longobardo (con la complicità degli amalfitani) e sposata l’ultima principessa longobarda Sighelgaita, fece ingrandire il Duomo di Salerno e vi fece porre le spoglie di San Matteo: rinvenute nel non lontano Cilento, in seguito ad un avventuroso naufragio delle reliquie del santo, a Casalvelino. Nella costruzione di chiese e monasteri si avvicenderanno i nuovi ordini carmelitani e francescani. Ed è qui che troviamo la storia meno conosciuta ma forse più miracolosa delle sette Madonne sorelle, la statua della Madonna della Selice di Corleto Monforte che ha donato al Cilento e Vallo di Diano il miracolo della manna in occasione dell’epidemia di peste nel 1731.

Con grande meraviglia trovavo proprio con i primi sopralluoghi, un aspetto inaspettato nel macrocosmo del Parco del Cilento e del Vallo di Diano, due antiche statue mariane miracolose, di cui l’altra è la Madonna “delle Grazie” ad Acquavella, che nel 1727 lacrimò sangue. Erano passati duecento anni dall’apparizione della Vergine Maria a Guadalupe in Messico (dicembre 1531) e mancano ancora circa cento anni all’apparizione della Madonna della Medaglia miracolosa a Parigi (1830), di La Salette (1846) e di Lourdes (1858), unite dal riconoscimento del Dogma mariano dell’Immacolata Concezione da parte della Chiesa che avvenne nel 1854. Come non ricordare l’immagine miracolosa di san Michele dipinta nel santuario di Sala Consilina per rendere omaggio al Principe delle schiere celesti, nell’Apocalisse in difesa e in lotta? Come non ritrovare un suggestivo prototipo medievale della Madonna in trono nella grotta di San Michele a Sant’Angelo a Fasanella? Sì, perché una caratteristica di queste Madonne di cui si tramandavano i luoghi e le immagini è che venivano trasportate sulla cappella in montagna d’estate per poi ridiscendere per l’autunno, oppure venivano realizzate in malta o scolpite sulla pietra per non essere trafugate. Il feudalesimo, poi spagnolo, suddivise il territorio in una miriade di feudi affidati alle famiglie della nobiltà. In un’economia tristemente rurale, l’elemento di connessione e coesione era rappresentato da ciò che ruotava attorno alla fede e al susseguirsi delle stagioni. Si alternarono i governi francesi e spagnoli; giunsero le truppe napoleoniche a sconvolgere le comunità dei religiosi e a fare scempio del patrimonio; l’eco dei moti insurrezionali e le forme di brigantaggio a cui si aggiungevano periodi di carestie ed epidemie. Nel secolo scorso echi degli avvenimenti di due guerre mondiali, che ferì mortalmente l’intera Europa, giunsero fin nelle nostre terre, come qualche anziano ancora può narrarci. La leggenda delle sette madonne e un fratello dà l’idea della esperienza globale a cui siamo chiamati per un approccio alla vita, alla conoscenza e alla verità più equilibrato e consapevole. Perché ogni persona è non solo un organismo vivente ma anima e spirito, in viaggio per trovare la sua identità, la sua vocazione più autentica, perché i bambini hanno una vita spirituale da coltivare.

Vivere il Parco: proposte

Molte strutture, molti uffici ed Enti per un Parco che rischia di continuare a restare uno sconosciuto ai suoi stessi abitanti, perché manca di una visione d’insieme. Dobbiamo mantenere viva la memoria delle nostre origini e traghettarle al presente per sentirci ricchi dentro. Dobbiamo ripartire dai bambini e dai giovani, connetterli agli adulti e agli anziani per un turismo che tenga conto delle originalità delle comunità, delle sue forze e spazi emotivi. L’idea di un Portale fisico e virtuale, di uno spazio con giardino e persone che a turno mettano a disposizione le loro competenze per mettere in circolo notizie, immagini, occasioni di incontro in una condivisione che raggiunga ogni paese. Il Parco non solo è un organismo vivente con i suoi scenari e panorami naturali ma un libro di racconti da rivivere, urgente la salvaguardia di ciò che è sopravvissuto dal passato, identità e radici. Un racconto che rischia pericolosamente di non venire trasmesso alle nuove generazioni, pur avendo a disposizione strumenti tecnologici inimmaginabili nel passato. La dimenticanza, l’incuria, una scarsa sensibilità alla condivisione delle risorse e delle idee possono lasciare un vuoto che peserà sull’identità cosciente dei bambini e dei giovani. Ai giorni nostri le strade soffrono di vecchiaia e di mancanza di miglioramenti, con poca attenzione a vie ciclabili e sentieri per il trekking. In questo anno 2020 in cui una catastrofe ha coinvolto tutti i Paesi del mondo attaccando la salute dell’intera umanità in modo invisibile, che ha ridotto attività e progetti, proviamo ad avere un sussulto di responsabilità partendo dal cuore delle singole comunità più che dai progetti calati dall’esterno da una politica in continuo contrasto. Se questo viaggio può incominciare, narrando ai piccoli e ai giovani i temi lungo i percorsi, è dalle pietre e dalle vie più antiche, quei valichi e passi naturalistici che tagliavano tra i monti, quelle vie del sale che risalivano dal mare verso l’interno, di una natura incontaminata e attraversata da greggi e provviste, che dobbiamo ripartire per riscoprire e apprezzare. C’è un tempo antico e ancor prima un tempo arcaico, primitivo che ha lasciato in luoghi di tutta la terra i segni della conoscenza delle popolazioni riunite che si sono man mano spostate, estinte o attestate per dar vita a generazioni e villaggi.

Maria Donatina De Rinaldis

 

 

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