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APPROFONDIMENTI – L’AVVOCATO GIOVANNI LICINIO FORMULA CONSIDERAZIONI E PROPOSTE RELATIVE ALLA LEGGE 5 MARZO 1957 N.220

Il mio intento è quello di dare un contributo informativo per stimolare il dibattito su un tema così importante. La legge 5 marzo 1957, n. 220, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.107 del 26 aprile 1957 è composta da 4 articoli. La rubrica testualmente recita “Costituzione di una zona di rispetto interno all’antica città di Paestum e divieto di costruzioni entro la cinta muraria”. L’art.1 prevede che “È costituita una zona di rispetto della profondità di mille metri all’esterno della cinta muraria dell’antica Paestum nel comune di Capaccio (provincia di Salerno)”. L’art. 2 prevede che “Entro l’ambito della zona di rispetto suindicata, come entro le mura, è fatto divieto di eseguire qualsiasi fabbricato in muratura e ogni altra opera che possa recare pregiudizio all’attuale stato della località. I vincoli già imposti ai sensi della legge 1° giugno 1939, n.1089, sulla tutela delle cose di interesse storico e artistico, relativi alla zona stessa, conservano pieno valore”. L’art.3 prevede che “Qualora si renda indispensabile ampliare o modificare una costruzione già esistente, il proprietario è tenuto a chiedere la preventiva autorizzazione al Ministero della pubblica istruzione che si riserva di concederla o negarla, dopo aver sentito il Consiglio superiore delle antichità e belle arti”. L’art.4 prevede che “Nessun indennizzo è dovuto ai proprietari degli immobili, compresi nella suindicata zona di rispetto, per le limitazioni di cui agli articoli precedenti”. Il divieto di cui all’art.2 di eseguire qualsiasi fabbricato in muratura ha un significato preciso, nel senso che il legislatore considerò la costruzione di tali manufatti/opere edili di per se’ pregiudizievole, mentre per quanto riguarda il divieto di eseguire ogni altra opera che possa recare pregiudizio all’attuale stato della località, la violazione è riferita a opere non in muratura la cui realizzazione possa arrecare pregiudizio allo stato della località (ad es. un parcheggio in terra battura è consentito, mentre non lo è un pergolato costituito da pilastri ancorati al suolo e da travi in legno di importanti dimensioni in modo da renderlo solido e robusto e non facilmente amovibile e dalle dimensioni planivolumetriche di mt.23,90 x 16,20 ed altezza di mt.5,00 – Cons. Stato sez. IV, 29 settembre 2011 n. 5409). Il richiamo ai vincoli già imposti, ai sensi della legge 1 giugno1939 n.1089, sulla tutela delle cose di interesse storico o artistico comporta che il vincolo paesaggistico ambientale è di interesse archeologico, storico, artistico. Il vincolo paesaggistico di interesse archeologico è un aspetto fondamentale della legge 220/57, imprescindibile, che permea di sé l’intera legge di iniziativa dell’archeologo Umberto Zanotti Bianco, nominato senatore a vita il 17.09.1952 per avere illustrato la Patria per gli scavi effettuati anche nel comune di Capaccio, in quanto tale ratio legis corrisponde alla volontà dell’illustre studioso, il quale, intese tutelare anche il patrimonio di interesse archeologico, storico ed artistico di Paestum esistente nell’ambito sopraindicato, vale a dire i cd. beni culturali. Il successivo art.3 non comporta problemi interpretativi e pratici, perché prevede che, in caso di ampliamenti o modifiche delle costruzioni esistenti, il proprietario deve chiedere la preventiva autorizzazione al ministero competente (MIBACT), previo parere del Consiglio superiore delle belle arti (poi Soprintendenza alle antichità ex legge 7 dicembre 1961 n.1264). Interessante è l’art.4 della legge 220/57 letto in combinato disposto con il precedente art.3, perché esclude l’indennizzo a favore dei proprietari degli immobili a causa delle limitazioni previste dalla suddetta legge. Ebbene, la legge si riferisce evidentemente ai proprietari di immobili edificati prima della sua entrata in vigore, dato che per gli edifici in muratura realizzati successivamente, gli atti di alienazione sono nulli, per cui non è corretto parlare di proprietà, ma, come si vedrà di seguito, di diritto di abitazione. L’esclusione dell’indennizzo è il cosiddetto “vincolo indiretto”, riscontrabile anche nell’art.21 della legge 1° giugno 1939, n.1089, a sua volta simile a quello introdotto dalla legislazione francese con il termine di “intorno al monumento”. Questo tipo di vincolo si esprime mediante un’azione complementare di tutela del bene culturale, introducendo la facoltà (art.3) di prescrivere distanze, misure ed altre norme dirette a salvaguardare gli immobili oggetto della tutela e ad evitare che ne venga danneggiata la prospettiva, la luce, insomma la giusta collocazione ambientale. Nella legge 220/57 il riferimento all’indennizzo, allorquando espressamente dice “Nessun indennizzo è dovuto ai proprietari degli immobili, compresi nella suindicata zona di rispetto, per le limitazioni”, costituisce un elemento importante per inquadrare giuridicamente tale cd. leggina nell’ambito del diritto vigente nel nostro ordinamento giuridico. Infatti, la legge 220/57 è una legge di diritto speciale che prevede norme di diritto locale perché, a differenza delle leggi di diritto comune generale, che trovano uguale applicazione in tutto il territorio dello Stato, vale soltanto per una parte del territorio dello Stato, cioè solo per la zona di rispetto della profondità di 1000 metri all’esterno dalla cinta muraria di Paestum e per la zona entro la cinta muraria di Paestum. Un esempio famoso di legge speciale di diritto locale è la legge per il risanamento della Città di Napoli, che derogò alle norme generali della legge sulle espropriazioni per pubblica utilità del 1865, quest’ultima applicabile nel resto del territorio italiano. Quando una legge di diritto comune prevede dei limiti, è previsto anche un indennizzo, per cui l’esclusione dell’indennizzo può essere prevista soltanto dalle leggi speciali che fanno salvo tale tipo di tutela economica. Il diritto speciale è diverso dal diritto comune, ma non è in antitesi con esso, in quanto è una materia regolata a parte, con criteri particolari. Le norme di diritto speciale prevalgono su quelle di diritto comune secondo la regola in toto iure generi per speciem derogatur (in ogni campo del diritto la specie deroga al genere). La lex specialis tende a conservare una vita a parte, a lato delle vicende delle leggi generali che non toccano direttamente anche il campo speciale. Alcune leggi generali successive alla legge 220/57, ad es. il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. n.42/2004), il T.U. Ambiente (D.Lgs. n.152/06), ecc., non hanno abrogato o modificato la legge 220/57. Vediamo perché. Esistono 3 tipi di abrogazione delle leggi. L’art.15 delle leges legum (Disp. Prel. Premesse al codice civile del 1942) prevede che “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”. In Italia, la tutela dei beni culturali ed ambientali è sancita dall’art.9 della Costituzione (La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione). In ottemperanza alla Riforma Costituzionale introdotta dalla Legge 3/2001 (nuovo art.117 Cost.), lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di tutela del patrimonio culturale (esempio di legislazione esclusiva è il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004), mentre è materia di legislazione concorrente la valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, ai fini della valorizzazione di tali beni, lo Stato, con leggi cornice, determina i princìpi fondamentali e le Regioni legiferano con leggi vincolate al rispetto delle disposizioni di principio dettate dallo Stato, al rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento della Comunità europea e dagli obblighi internazionali. I beni culturali e i beni paesaggistici costituiscono il Patrimonio Culturale (art.2 D. Lgs. n.42/2004). Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio tutela il patrimonio culturale e definisce il Paesaggio: “…una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni. La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili” (art.131).

 

 

IL PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE

ll Piano Paesaggistico Regionale (PPR) rappresenta il quadro di riferimento prescrittivo per le azioni di tutela e valorizzazione dei paesaggi campani, nonchè il quadro strategico delle politiche di trasformazione sostenibile del territorio in Campania, sempre improntate alla salvaguardia del valore paesaggistico dei luoghi.. La Regione Campania e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali hanno sottoscritto, il 14 luglio 2016, un’Intesa Istituzionale per la redazione del Piano Paesaggistico Regionale, così come previsto dal Codice dei Beni Culturali. L’intero impianto progettuale è stato condiviso nell’ambito del Tavolo istituito ai sensi dell’Intesa e nel corso di una prolungata attività di interlocuzione, culminata nella trasmissione della Proposta di Preliminare di PPR da parte della Regione Campania (dicembre 2018), e di recepimento della stessa da parte del MIBAC (settembre 2019). Con l’approvazione del Preliminare di PPR della Regione Campania a novembre 2019, si è avviata una nuova fase di verifica, di confronto e condivisione. In primo luogo, con Istituzioni e Organismi, quali Soprintendenze e Parchi, più in generale Enti Locali, Università, rappresentanze del mondo imprenditoriale, sociale e sindacale, professionale, dell’associazionismo, per trasformare il documento di cui al Preliminare di Piano in Piano Paesaggistico Regionale definitivo, in vista della sua adozione e successiva approvazione. Il Piano Paesaggistico è prevalente sulle disposizioni contenute negli altri atti di pianificazione (art.145 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio). Non è condivisibile affermare che l’unica strada normativa da percorrere è quella del Piano Paesaggistico regionale, perché anche se tale strumento di pianificazione, una volta approvato, affiancherà la Legge 220/1957, esso potrebbe consentire soltanto interventi di valorizzazione e riqualificazione, ma non di sanatoria degli abusi ex legge 220/57, perché il condono, la sanatoria edilizia, la tutela del patrimonio culturale sono materie di esclusiva competenza dello Stato (legislazione statale).

 

 

I CONTRATTI DI FIUME

La sanatoria non è possibile nemmeno tramite i Contratti di fiume ex legge n. 221/2015 (art. 59), in quanto, pur potendosi utilizzare diversi strumenti, tra cui la negoziazione urbanistica anche attraverso Accordi di Programma, essi non si possono applicare anche per i fabbricati abusivi essendo atti di governance che, così come i Contratti di paesaggio, investono la salvaguardia e la promozione dei luoghi, ma non la sanatoria degli abusi, che, come si è detto, è materia di esclusiva competenza dello Stato. Pertanto, non sussiste nessuna specifica competenza sanante dei Contratti di fiume o di paesaggio. Inoltre, la legge 221/2015 è una legge ordinaria e non può derogare alla legge speciale 220/57, oltre al fatto che all’art.52 prevede la demolizione o la rimozione degli immobili abusivi realizzati in aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato ovvero a rischio idrogeologico. In altri termini, tali gravi conseguenze sono previste perché si tratta di abusi insanabili relativi a zone per le quali sussiste un vincolo di inedificabiltà assoluta. Il Contratto di fiume può essere utilizzato nel Comune di Capaccio Paestum soltanto per tutelare e riqualificare/valorizzare la zona del fiume Salso, del fiume Sele e di altri corsi d’acqua, contribuendo allo sviluppo locale di tali aree, ma non per finalità di sanatoria edilizia. Da notare che l’art.166 del Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali) prima dell’entrata in vigore del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004, aveva abrogato la legge 1 giugno 1939 n.1089 richiamata dalla legge 220/57. Tuttavia, proprio il richiamo alla legge del 1939/1089 aveva comportato e comporta ancora, nonostante l’abrogazione, che, nell’ambito della zona della cinta muraria di Paestum e della zona di rispetto della profondità di mille metri, i vincoli previsti da tale legge ordinaria siano ancora in vigore, perché, essendo stati recepiti in toto dalla legge speciale, ne sono diventati parte, diventando contenuto normativo di natura speciale per il territorio indicato dalla leggina speciale. Inoltre, l’Articolo 129 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ha fatto salva e, dunque, non ha abrogato la legge 220/57, pur disciplinando l’intera materia già disciplinata dalla legge anteriore. Tale conclusione si evince dal comma secondo cui, con riferimento ai “Provvedimenti legislativi particolari 1. Sono fatte salve le leggi aventi ad oggetto singole città o parti di esse, complessi architettonici, monumenti nazionali, siti od aree di interesse storico, artistico od archeologico”. Tra l’altro, l’Articolo 142 di tale Codice, con riferimento alle Aree tutelate per legge, ha previsto che “1. Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo: … m) le zone di interesse archeologico”. Di conseguenza, anche le zone archeologiche sono di interesse paesaggistico e sono disciplinate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma a Paestum occorre considerare che la legge 220/57 prevede un vincolo speciale a tutela dei beni culturali, accezione questa da intendersi, come accennato, come vincolo paesaggistico nell’ambito del quale rientra anche la tutela dei beni di interesse artistico, storico e archeologico.

IL DIVIETO DI INEDIFICABILITÀ ASSOLUTA

Il divieto previsto dalla legge 220/57 è di inedificabilità assoluta, nonostante la tesi secondo cui ciò sarebbe escluso dalla concessione di alcune decine di pareri favorevoli, nel corso di alcuni decenni, anche per immobili edificati in muratura ex novo. L’inedificabilità assoluta si evince dalla constatazione che le norme sul condono edilizio non si applicano all’interno della cinta muraria e nella alla zona di rispetto e, quindi, non consentono di ottenere la sanatoria, perché la legge n.47/85 e anche le leggi successive (del 1994 e del 2003) hanno espressamente escluso il condono quando l’immobile abusivo è sito in zone ove sussiste un vincolo di inedificabilità assoluta. Se non fosse un divieto di inedificabilità assoluta, oggi, non esisterebbe il problema degli abusi edilizi ex legge 220/57 connessi alla violazione di siffatta legge speciale, perché, se fosse vero il contrario, coloro che abitano negli edifici abusivi esistenti in tale area avrebbero sicuramente presentato la domanda di condono edilizio, provveduto alla fiscalizzazione, cioè al pagamento degli oneri di urbanizzazione cui alla legge n.10/77 cd. Bucalossi, nonché al pagamento dell’oblazione per non avere problemi penali, con conseguente sanatoria, salvo i casi di insanabilità per violazione delle norme edilizie e urbanistiche previste dalle altre leggi (codice civile, legge urbanistica, ecc.) e dal regolamento edilizio comunale. L’avvenuta concessione in passato di pareri favorevoli per edificare immobili in muratura ex novo non è argomento idoneo a superare tale assunto, anche perché il consolidamento amministrativo di un atto illegittimo riguarda singoli casi e non ha valenza generale. La legge 220/57 ha consentito di tutelare e salvaguardare l’area interna alla cinta muraria e gran parte della zona di rispetto esterna, per cui ha prodotto effetti positivi, ma è anche vero che il problema dell’abusivismo edilizio esiste a causa dell’inerzia delle autorità competenti.

 

 

COSA È CONSENTITO E COSA NON LO È

Tanto premesso, ho provato a ricercare soluzioni al fine di dare indicazioni su cosa si può o si potrebbe fare e su cosa non è consentito secondo la Giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana, della Corte di Strasburgo (CEDU), della Corte Suprema di Cassazione e del Consiglio di Stato. Per quanto riguarda i divieti e le limitazioni che impediscono la sanatoria degli abusi edilizi, occorre informare chi legge che, la Corte Costituzionale con Sentenza n.140/2018, pubblicata in G.U. 11/07/2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., per il contrasto di tale comma 2 con il principio fondamentale, stabilito dall’art. 31, commi da 3 a 6, d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui l’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolirlo si «configura come una sanzione preordinata principalmente alla demolizione dello stesso». L’art. 2, comma 2, della legge della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19, prevedeva che i Comuni della Regione Campania potessero non demolire gli immobili abusivi acquisiti al proprio patrimonio a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione – in particolare, che potevano locarli o alienarli, anche agli occupanti (e anche quando questi siano i responsabili dell’abuso) – indipendentemente dalla verifica delle circostanze in presenza delle quali l’art. 31, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, consente di non procedere alla demolizione degli stessi. La Corte ha sancito che la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune, con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale che vincola la legislazione regionale di dettaglio in materia di «misure alternative alle demolizioni». Pertanto, questo significa che l’opera abusiva acquisita al patrimonio comunale debba, di regola, essere demolita (la demolizione dell’opera abusiva ha funzione essenzialmente ripristinatoria) e che l’opera abusive possa essere conservata, in via eccezionale, soltanto se, con autonoma deliberazione del consiglio comunale relativa alla singola opera, si dichiara, in base a tutte le circostanze del caso, l’esistenza di uno specifico interesse pubblico (es. all’utilizzo dell’immobile a scuola pubblica) e la prevalenza di questo sull’interesse pubblico al ripristino (mediante demolizione) della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia, e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico. Per effetto della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19, i comuni non possono più ritenere interesse pubblico alla conservazione dell’immobile abusive, acquisito gratuitamente nel loro patrimonio a causa dell’inosservanza del provvedimento di demolizione dopo il decorso di 90 giorni dalla notifica, quello di concederlo in locazione o di alienarlo allo stesso occupante per necessità (responsabile o meno dell’abuso), perché tale delibera produrrebbe un effetto analogo a quello di un “condono edilizio straordinario”, di competenza della legislazione statale. Secondo l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Strasburgo (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo=CEDU), (caso Sud Fondi c. Italia), l’interesse dell’ordinamento nazionale è quello di abbattere l’immobile abusivamente realizzato, ripristinando l’ordine giuridico violato e garantendo il rispetto delle disposizioni urbanistiche applicabili. La demolizione configurerebbe una legittima sanzione ripristinatoria e l’interesse con essa perseguito deve ritenersi prevalente sul diritto all’abitazione dell’immobile abusivamente realizzato. Inoltre, la CEDU ha escluso che la demolizione dell’opera abusiva possa legittimamente avvenire solo ove il condannato abbia a disposizione un alloggio alternativo, ovvero qualora a ciò abbia provveduto lo Stato, non potendosi riconoscere un diritto assoluto all’inviolabilità del domicilio e, dunque, dell’abitazione (art. 8 Cedu), tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva. Tale orientamento sovranazionale è stato confermato anche dalla Corte di Cassazione, III sez. Penale, con la recentissima sentenza. n.844 del 13.01.2020 (anche Cass., Sez. 3^, 20 agosto 2019, n. 36257; Cass., Sez. 3^, 8 aprile 2019, n. 15141), in cui si sottolinea che il diritto all’abitazione (anche di chi occupa l’immobile abusivo) non può essere qualificato come assoluto, dovendo lo stesso essere comparato con l’interesse della collettività all’effettiva applicazione della normativa in materia edilizia. L’interesse generale della collettività al rispetto della normativa nazionale si presenta, pertanto, come un limite idoneo della tutela dell’interesse patrimoniale del singolo. La Corte di Cassazione ha sottolineato che, dalla giurisprudenza CEDU, si ricava anzitutto il principio dell’interesse dell’ordinamento all’eliminazione, in luogo della confisca, delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. Ed infatti, la Corte di Strasburgo (CEDU) ha negato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione possa configurare una violazione della norma posta a tutela del diritto di proprietà, del diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, non essendo desumibile dalle norme alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perchè casa familiar. Per quanto riguarda la natura degli abusi edilizi, il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con sentenza n. 1498 del 04/03/2019, ha ribadito che sono illeciti permanenti, il potere amministrativo di vigilanza e repressione può intervenire anche decorso un rilevante lasso temporale dalla realizzazione dell’abuso, il quale è da considerare sempre attuale finchè non venga rimosso o represso. Il trascorrere del tempo – prosegue il Consiglio di Stato – non legittima, di per sè, situazioni che, essendo ab origine contra ius, non possono fondare alcun affidamento incolpevole, né è richiesta una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso posto che la demolizione di un immobile abusivo e non assistito da alcun titolo è per sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti di fatto e in diritto.

 

 

LE PROPOSTE FORMULATE DI RECENTE

Fermo restando gli anzidetti orientamenti giurisprudenziali, si riassumono di seguito tre proposte formulate di recente al fine di giungere alla soluzione dei problemi inerenti agli abusi edilizi nell’ambito della sfera di territorio disciplinata dalla legge 220/57, alle quali aggiungo una mia proposta personale, con spirito costruttivo e nell’intento di stimolare il dibattito e per la medesima finalità.

Ecco le tre proposte formulate recentemente:

1) Il Sindaco Franco Alfieri ha proposto l’istituzione di una commissione speciale ad hoc per lo studio e la redazione di una proposta di modifica della Legge n. 220/ 1957, da presentare al Parlamento italiano, su iniziativa della Regione Campania, ai sensi degli artt. 71 e 121 della Costituzione. Questa proposta è stata pubblicata, con un articolo a firma del giornalista Alfonso Stile, su Stile TV, in data 31 luglio 2020 (si veda http://www.stiletv.it/news/68539/capaccio-alfieri-chiede-commissione-ad-hoc-per-cambiare-la-legge-220-57). L’articolo citato fa riferimento testualmente alla delibera della Giunta comunale di Capaccio Paestum con la quale è stata formulata al “Mibact ed alla Regione Campania la richiesta d’istituire una commissione ad hoc per lo studio e la redazione di una proposta di modifica della Legge n. 220/ 1957 “Zanotti Bianco”, da presentare al Parlamento italiano, su iniziativa dell’ente regionale, secondo quanto previsto dagli artt. 71 e 121 della Costituzione”. Inoltre, proseguendo la lettura, è scritto che “Nel corso degli anni la Legge di tutela ha consentito di proteggere e conservare le straordinarie risorse storico/archeologiche di Paestum – si legge nella delibera – armonizzandole, pur con qualche eccezione, con il contesto urbano ivi insediato fin dall’inizio del secolo scorso e con il crescente incremento dei flussi turistici, sempre più bisognosi di adeguati servizi di supporto; tuttavia, lo stringente vincolo di inedificabilità sulla fascia di rispetto di mille metri dalla cinta muraria, nel corso del tempo ha comportato un abusivismo di rilevanti dimensioni, in parte di necessità, certamente dovuto alla mancanza di adeguati controlli da parte degli organi all’uopo deputati nonché del disinteresse generale alla proposizione di soluzioni alternative”. Ed ancora, l’autore dell’articolo scrive che la suddetta delibera si basa sulle seguenti motivazioni: “A giudizio di codesta Amministrazione comunale, appare improcrastinabile mettere in atto un’efficace azione di recupero delle aree interessate, coincidenti per la quasi totalità con i nuclei urbani di Torre di Mare e Licinella, che abbia come obiettivo prioritario il ripristino della legalità ed il rilancio e la valorizzazione dei contesti urbani di riferimento, dall’acclarata vocazione turistica: è chiaro che tale iniziativa deve necessariamente coordinarsi con gli Uffici preposti del Mibact e con la Regione Campania, ai quali si propone di istituire una commissione ad hoc che, preso atto dell’avvenuta mancata rigorosa applicazione della legge con effetti per certi aspetti irreversibili, studi le soluzioni giuridiche adeguate e compatibili sotto l’aspetto culturale, economico e sociale da presentare al Parlamento Italiano sotto forma di proposta di modifica della legge 220/1957, su iniziativa della Regione Campania”. Successivamente, il Sindaco di Capaccio Paestum, Franco Alfieri, nel servizio sul Masterplan Litorale Salerno Sud, andato in onda il 14 agosto 2020 nel corso del Tgr Rai Campania (per vedere ed ascoltate le dichiarazioni cliccare sul seguente link https://www.facebook.com/1537261063201127/posts/2590625514531338/), ha dichiarato che obiettivo prioritario è “anche di eliminare le brutture, gli abusivismi, di organizzare le risorse per un lavoro che va fatto subito”. Di conseguenza, l’obiettivo dell’amministrazione Alfieri è la valorizzazione della zona, il ripristino della legalità e l’eliminazione degli abusi.

2) Secondo il giornalista Carmine Caramante, “la strada che la Regione deve percorrere, fatto salvo ed intatto il patrimonio tutelato dalla 220/57, è quella della redazione e approvazione di un Piano Paesaggistico per Paestum, soluzione già adottata per la Costiera Amalfitana. Abbattere non è la soluzione. Certamente le superfetazioni vanno eliminate ma va salvaguardato l’abitato e le attività produttive situate all’interno della 220 che sono coerenti con un disegno di paesaggio. Proprio per questo motivo serve adesso un Piano Paesistico per Paestum da inserire nel Piano Paesaggistico Regionale”. “In tal modo, si arriverebbe al risultato di avere uno strumento che affiancherebbe la Legge 220/1957, così da mitigarne in parte gli effetti frenanti per ciò che riguarderebbe luoghi e valori abitativi e produttivi da far coesistere con le istanze archeologiche all’interno del perimetro oggetto del provvedimento parlamentare”. Inoltre, “trovo assolutamente non idonea né produttiva di valori positivi l’ipotesi paventata dal Sindaco Franco Alfieri che vorrebbe sollecitare l’istituzione di una commissione regionale ad hoc”. Ed ancora, “Innanzitutto, non è questa la strada normativa da percorrere, tanto è vero che ci sono stati già tre (3) tentativi di questo tipo (ndr. purtroppo senza esito positivo)”.

3) Secondo l’Architetto Lucido Di Gregorio, “la Legge n. 221/2015 altro non è che un “collegato ambientale” alla legge di stabilità, in genere approvata a fine anno. E come tale va letta, né proposta come una querimonia inconsistente. Un’articolazione di provvedimenti che in questo caso riguardano questioni tra le più disparate come modificazioni e integrazioni di altri provvedimenti legislativi, la gestione dei rifiuti e il trattamento dei compostaggi, oppure disposizioni in materia di immobili abusivi realizzati in aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato ovvero esposti a rischio idrogeologico e tanto altro ancora. Tra questi va colto come d’interesse quanto introdotto con l’art. 59 che nello specifico è riferito ai “Contratti di fiume”, che prevede un’integrazione al Testo Unico in materia ambiente di cui al D.Lgs. n. 152/2006. L’articolato legislativo infatti, riporta quanto segue “1. Al capo II del titolo II della parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo l’articolo 68 è aggiunto il seguente: «Art. 68-bis (Contratti di fiume) – 1. I contratti di fiume concorrono alla definizione e all’attuazione degli strumenti di pianificazione di distretto a livello di bacino e sottobacino idrografico, quali strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali, unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale di tali aree». L’approvazione di questo disposto legislativo, che come detto integra il Testo Unico, rappresenta un elemento di grande novità non solo perché è riconosciuta per la prima volta la trattazione di una materia che non riguarda esclusivamente la “tutela” quanto la “promozione” dei valori di paesaggio e dei luoghi, quanto è riconosciuta finalmente l’attività e le azioni di Governance quali atti di “programmazione strategica e negoziata…” per la valorizzazione dei “territori fluviali….. contribuendo allo sviluppo locale di tali aree”. Questo criterio apre nuovi orizzonti anche per l’area sottosposta a tutela ambientale (come giustamente hai riportato) dalla Legge 220 che dall’approvazione di questa nuova norma in poi consente di utilizzare a pieno titolo alcuni strumenti come ad esempio la “compensazione urbanistica” (che il prof. F. Forte indicava come “atterraggio dei volumi”) e la “negoziazione urbanistica” anche attraverso Accordi di Programma, da potersi applicare anche per i fabbricati abusivi compresi nel perimetro delimitato dalla legge n. 220, che viceversa nessun condono potrebbe mai sanare”. L’architetto Di Gregorio, inoltre, ha criticato il Concorso di idee della giunta Marino ante 2012, “non perché i Concorsi di Idee in quanto tali non siano da ritenere utili, anzi da sempre mi sono dichiarato a favore di questo strumento a condizione che sia utilizzato in maniera corretta, senza alcun tentativo di strumentalizzazione e senza alcuna mistificazione o artificiosità come quello recentemente proposto”.

 

LA MIA PROPOSTA

La mia proposta è la seguente: occorre organizzare un convegno, poi istituire la Consulta Comunale aperta anche al contributo gratuito di studiosi non residenti, per lo studio ed elaborazione un progetto di legge di modifica della legge 220/57, di iniziativa popolare, da presentare al Parlamento per l’approvazione. Ultimato il progetto occorrerà raccogliere 50.000 firme oppure si potranno coinvolgere tutti i parlamentari eletti nel territorio della Provincia di Salerno e ovunque in Italia per proporre una legge di iniziativa parlamentare politicamente trasversale. L’estrema ratio potrebbe essere quella di investire direttamente il Governo italiano con una legge di iniziativa governativa. Tale iniziativa legislativa, nelle more dell’approvazione delle modifiche alla legge 220/57, non esclude la possibilità di procedere alla riqualificazione della zona di rispetto interessata mediante Contratti di fiume e di paesaggio. A onor del vero, la riqualificazione negoziata, oltre alla salvaguardia e valorizzazione del paesaggio e dei beni di interesse storico, artistico e archeologico, non consentirà di ottenere una sanatoria per gli abusi edilizi esistenti in loco, anche se è ragionevole pensare che all’esito di tale processo di valorizzazione aumenterebbero le possibilità di ottenere una modifica adeguata della legge 220/57 in quanto la riqualificazione può essere propedeutica per una sanatoria legislativa, probabilmente parziale, fermo restando l’insopprimibile esigenza di non modificare i vincoli posti dalla legge 220/57. In ogni caso, occorre considerare che solo il 32,02% delle leggi di iniziativa governativa vengono approvate, mentre quelle di iniziativa popolare arrivano al 2,38%, quelle di iniziativa regionale all’1,54% e quelle di iniziativa dei parlamentari all’0,77 (https://blog.openpolis.it/2016/10/17/referendum-successo-legge-iniziativa/10657.). Infine, mi preme ricordare anche la posizione del Direttore del Parco Archeologico di Paestum, Dott. Gabriel Zuchtriegel, il quale, in data 28 luglio 2017, intervistato dal Giornalista Oreste Mottola, dichiarò “Il pensiero va poi alla legge 220 del 1957. L’opinione di Zuchtriegel è che la legge rimane “positiva”, “irrinunciabile” nei suoi scopi di tutela. “Il paesaggio non va alterato e distrutto in alcun modo. Paestum è questo. E’ una storia millenaria che noi non abbiamo nessun diritto di banalizzare.” “Non possiamo tagliare l’albero sul quale stiamo seduti tutti. Gli operatori economici locali prima di tutti gli altri. I benefici avuti sono maggiori dei sacrifici”. Tra le dichiarazioni di principio pare di cogliere un approccio pragmatico che si propone come metodo di lavoro a tutti i protagonisti del complesso puzzle pestano ora che il “potere” sembra passato di mano” (https://www.unicosettimanale.it/news/cultura/513060/gabriel-zuchtriegel—la-legge-220-e-irrinunciabile). In conclusione, ritengo che la legge 220/57 sia irrinunciabile per l’imprescindibile finalità di tutela del patrimonio culturale esistente nella zona interessata, ma la sua modifica con la previsione di effetti sananti in deroga (condono edilizio straordinario) soltanto nella zona di rispetto di 1000 metri e non all’interno della cinta muraria, sia altrettanto imprescindibile, perché il legislatore dovrà tenere conto della legittima riqualificazione dello stato dei luoghi che il PPR introdurrà nel territorio e delle innovazioni paesaggistiche migliorative che ne deriveranno su base negoziata.

Giovanni Licinio

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