Si è tenuta giovedì 17 marzo, presso il ristorante “Suscettibile”, a Salerno, un’interessante serata dedicata alla capra, con protagonista assoluto il Cilento, accompagnato, nientemeno, che da Sua Maestà il Vesuvio. Il sodalizio tra i due territori si spiega anche nel nome dell’evento, “Capra, capretto e caprettone”, che tesse una rete innovativa, basata sull’animale emblema della mediterraneità, appunto, la capra, che proprio in questi due territori rappresenta un fulcro identitario legato principalmente al “cacioricotta”, nel Cilento, e al famoso e mitico vitigno, per il Vesuvio. Infatti, l’antica uva caprettone è così denominata proprio perché, un tempo, quelle viti rappresentavano un alimento di cui proprio le capre, “sempre le ultime a pascolare”, erano ghiotte. Questo e altri interessanti spunti, per uno storytelling in grado di rilanciare i prodotti un po’ dimenticati della Dieta Mediterranea, sono stati raccontati con maestria dall’ospite d’onore, il giornalista e scrittore Luciano Pignataro che, nell’occasione, ha presentato anche il suo recente successo editoriale, “Il metodo Cilento”, una sorta di Codice della tradizione eno-agrialimentare, che il fisiologo americano Ancel Keys, grazie ai suoi studi, ha reso celebre, e che oggi, anche per via del Riconoscimento UNESCO, rappresenta un potenziale agri-economico ancora inespresso. La bravura dello chef e l’eccellenza dei prodotti, tra cui hanno spiccato i vini pregiati di “Casa Setaro”, di Treccase (NA), e i prodotti caseari della “Tenuta Principe Mazzacane”, di Omignano (SA), insieme alle carni, hanno ispirato un menù innovativo, interamente basato sulla capra. L’esperienza è stata un vero percorso sensoriale e, al contempo, un esperimento ben riuscito, che ha dimostrato come questo animale, ritenuto a torto povero, possa recuperare a pieno titolo un ruolo da protagonista tra le tipicità più raffinate e collocarsi, senza temere alcun confronto, come apripista di uno sviluppo sostenibile, tracciato realmente sulla tradizione. Ovviamente, a rendere ancora più efficaci i numerosi significati della kermesse, ha contribuito il disteso clima di convivialità, elemento anch’esso spesso trascurato, della tavola cilentana e mediterranea. C’è da auspicarsi, a questo punto, che l’iniziativa privata di appassionati, tecnici e imprenditori illuminati, riesca a contaminare il più possibile gli attori della programmazione territoriale, per spronare, attraverso i giusti strumenti, la ricomposizione della filiera caprina e il recupero culturale ad essa legata, piuttosto che importare improbabili algoritmi o formule alchemiche per uno sviluppo locale che, in fondo, potrebbe allungare le “coperte”, spesso corte, anche grazie alla “lana caprina”, oggi, probabilmente, molto più facile da districare, rispetto a matasse più decantate ma che poi risultano poco utili.
Milena Cicatiello