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CAREGIVER FAMILIARI E RICONOSCIMENTO GIURIDICO

La teoria generale del diritto, non senza una certa lungimiranza, ci pone di fronte a una sfida più che mai attuale: quella della protezione dei diritti fondamentali. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, prima, e la costituzionalizzazione dei diritti, dopo, hanno fatto sì che i diversi Stati della comunità internazionale convergessero su un sistema di principi e norme condivisi non solo all’interno di un singolo ordinamento, ma nella maggior parte degli ordinamenti esistenti. Il fondamento del diritto, pur essendo ancora oggetto di dibattiti teorici, risulta essere oggi un punto meno controverso grazie al suo riconoscimento, che ha determinato l’estensione della soggettività giuridica dagli Stati agli individui, e il passaggio dalla sovranità statuale a quella popolare. Sicché, oggi, il problema meritevole di attenzione non è più quello di rinvenirne il fondamento, ma è piuttosto racchiuso nel seguente quesito: quando si può dire che un diritto riconosciuto come fondamentale sia anche un diritto realmente accessibile? I principali ostacoli che si frappongono all’accesso ai diritti fondamentali sono quelli che genera lo Stato moderno. Primo fra tutti, il processo di specificazione, incentrato su una differenziazione delle categorie di destinatari, a tutela di istanze che sono sempre più marcatamente individuali e personalizzate. Ed è un fenomeno in ascesa, in quanto il legislatore tende sempre più a promuovere interventi ad hoc per accordare protezione ad alcuni diritti e titolari a discapito di altri, attraverso meccanismi di inclusione – esclusione che privilegiano gli interessi prevalenti in un certo momento storico. In questo scenario, le teorie funzionali recuperano la centralità della norma di riconoscimento, l’unica in grado di stabilire che un diritto esiste e quali sono le sue caratteristiche. Tuttavia, non è detto che al riconoscimento di un diritto facciano automaticamente seguito la sua accettazione sociale e l’emanazione di atti di recepimento interno; sicché, ogni eventuale omissione o difformità rispetto ad essa priva il diritto della sua effettività, e richiede uno sforzo di adattamento da parte dell’intero ordinamento, per scongiurare il rischio di doverci rapportare a diritti che sono tali solo “sulla carta”. Nell’alveo del dibattito dottrinale, la riflessione si sposta dal dato positivo alle garanzie, in quanto vi sono alcuni diritti, come i diritti sociali, che, pur essendo formalmente riconosciuti, non possono essere attuati senza un impegno politico. Molti di questi diritti richiedono azioni concrete, mirate, che proprio per questo non sono sempre realizzabili, o non lo sono per tutti. A questo fenomeno fanno da sfondo la difficile azionabilità dei diritti sociali, lo spreco di risorse pubbliche, l’inerzia dei pubblici poteri e la perdita di controllo sui fattori economici e sociali. Uno dei casi più discussi nel panorama dei diritti sociali degli ultimi dieci anni è rappresentato dalla figura del cosiddetto “caregiver familiare” (ossia del familiare che si prende cura in via continuativa di soggetti diversamente abili che convivono stabilmente con lui), la quale trova ampio spazio nella legislazione europea e nella giurisprudenza, ma che ancora stenta ad ottenere una disciplina giuridica e organica nell’ordinamento nazionale, nonostante i rimproveri dell’ONU, la procedura d’urgenza avviata dall’Europa nei confronti dello Stato italiano (procedura con la quale sono state trasmesse le buone pratiche già in atto negli altri Paesi europei) e gli innumerevoli ricorsi presentati dai caregiver italiani ai giudici di merito o di legittimità, per vedersi riconosciuti i propri diritti fondamentali. Quello del caregiver familiare è un paradigma esemplificativo di come le garanzie del diritto non siano insite nella norma di riconoscimento. In particolare, le garanzie attualmente esistenti a favore del suo diritto alla salute e al lavoro sono ancora troppo deboli e inidonee a esprimere la funzione sociale delle prestazioni di cura di sua competenza. L’omissione del legislatore è una precisa scelta politica che non tiene conto dell’impatto che le condizioni esistenziali e lavorative del caregiver hanno sul contesto sociale di riferimento. E difatti, nell’accogliere le nuove istanze di tutela, la giurisprudenza è sempre meno interprete e sempre più incline a “creare” il diritto per sopperire alle aporie del sistema. È allora il caso di interrogarci sulla opportunità di una legge nazionale che accordi al caregiver familiare il pieno riconoscimento giuridico e sulle modalità e sugli istituti che tale riconoscimento dovrebbe coinvolgere. Soprattutto, è il caso di ripensare alle contraddizioni del processo di specificazione del diritto e a come favorirne il superamento, affinché interessi contrapposti (da un lato, quelli del soggetto debole per sua natura, che necessita di cure e assistenza, dall’altro quelli del caregiver, che diventa soggetto debole a sua volta nel prendersi cura del familiare a tempo pieno, dovendo così rinunciare a lavorare, viaggiare, studiare o curarsi), siano adeguatamente bilanciati. La riflessione sociologica ci offre nuovi spunti critici, alla luce del fatto che la specificazione della tutela giuridica in favore dei soggetti deboli non è sufficiente a salvaguardare nemmeno i diretti beneficiari, se ad essa non si accompagni anche la tutela specifica dei soggetti titolari di interessi contrapposti (i caregiver, per l’appunto). In altri termini, la tutela dei soggetti non autosufficienti non può più essere assicurata senza che l’ordinamento abbia ponderato anche una specifica tutela dei diritti di chi se ne prende cura, se non a costo di ledere il carattere strumentale delle prestazioni di cura al benessere di chi le riceve, e di rendere i diritti sociali diritti inesigibili per entrambe le categorie di destinatari. L’effetto distorsivo risiede nel fatto che, non riconoscendo giuridicamente il caregiver familiare, l’ordinamento comprime, inevitabilmente, anche i diritti fondamentali del soggetto debole, nonostante questi siano stati già riconosciuti. Occorre, dunque, avvallare l’ipotesi di una disciplina specifica che concerne la tutela del caregiver e che sia distinta e separata dalle norme che garantiscono i soggetti portatori di fragilità giuridiche, ma pur sempre strumentale al benessere di quest’ultimi, per scongiurare ogni rischio di conflitti d’interesse tra le due categorie.

Milena Cicatiello

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