Quante volte abbiamo sentito storie, racconti, letto di qualcosa partito dal nulla. Certo, vi erano epoche in cui, per fare l’impresa, bastava avere coraggio e follia, o anche solo un cavallo e un manipolo di uomini che ti seguivano. Poi sono arrivate le intuizioni, le teorie che hanno sconvolto il modo di essere e di pensare. Quelle che hanno cambiato il mondo. C’era lo spazio e il tempo, quello che adesso è saturo e maleodorante, quello che si accontenta, che decade, che implode nello stereotipo. Ma succede, a volte, che un ragazzino studioso e timido, che ha il talento della scrittura e una passione, passi i pomeriggi con l’amico del cuore, buttano giù testi e li musicano, lui li canta a modo suo. Distinguersi in una giungla dove le mode del momento hanno parametri relativi è impresa ardua, ma il ragazzino non si adatta. Il ragazzino fa quello che sente di essere. Rima dopo rima, barra dopo barra, beat dopo beat, nasce Lasthour, il rapper su cui avresti perso tutte le scommesse. Ci mette poco ad affermarsi, non in modo definitivo, ma con una rampa di lancio solo da inaugurare. Testi e stile sono di altissima classe ma, ovviamente, tutto questo non basta. C’è il sogno nel cassetto, ma non quello che ti aspetti. Ed è proprio Lui a dircelo: “Come tutte le cose che iniziano i ragazzini, era più un gioco che altro. Condividevo questa passione per il rap con Samuele Paolino, scrivevamo e scrivevamo ancora, mettevamo le basi, cantavo quello che sentivo. È nato tutto così. Poi la cosa si è fatta più seria, se possiamo dire così, e quella passione è diventata qualcosa di più. Un Progetto, che è il nome che ci siamo dati per concretizzare quello che ci siamo prefissi”.
Già, perché, di solito, il sogno del ragazzino che parte dalla provincia è quello di arrivare laddove il glamour e il fashion sono la patina che avvolge tutto, che ti ingoia e poi, quando ne ha abbastanza, ti sputa via. Lo star system, Roma, Milano, Londra e tutto ciò che può accecare quando hai talento e la gente lo nota. Niente di tutto questo. Il Progetto è un altro. Ancora Lasthour: “Io e gli amici che mi accompagnano, Musa, Samuele, con cui sono partito, Venere e Niar Pain oltre a Francesco Menza, abbiamo dato vita a questo collettivo che si chiama Progetto e che cerca di creare una realtà indipendente. Per usare un linguaggio tecnico e noioso per i più, una vera e propria Label. Certo, il mondo di cui parliamo è saturo, ci sono ragazzi di talento e altri che fanno della tecnica la loro forza. Altri già affermatissimi. Io non ne ho mai avvertito la necessità, ecco, io non avverto l’esigenza di andare in guerra. Io, noi, vogliamo essere riconoscibili”. Beh, allora quale è il punto di arrivo, quale l’esigenza da soddisfare. Ed ecco che un percorso al rialzo, che tanti sognano, diventa un motivo difficile da spiegare, ma facile quanto emozionante da pensare. “Il nostro sogno è diventare un riferimento per i ragazzi del Cilento. Chiunque voglia fare musica o si appresti a iniziare qualcosa nel settore deve pensare a noi. Puntiamo ad essere il primo nome di un collettivo che può venire in mente a chi pensa ad artisti Rap provenienti dal posto in cui vivono. È una bella sfida, abbiamo strada da fare e miglia da percorrere, ma vogliamo essere questo. Non migliori, non peggiori, solo riconoscibili, senza paragoni”. Già, i paragoni. Ormai questa moda, così come la chiamiamo noi non addetti ai lavori, quelli, per intenderci, che non sanno cosa è un beat, una barra, una wave, sta spopolando in maniera devastante. Geolier e affini sono i nuovi riferimenti delle generazioni in erba e, quindi, crearsi una nicchia, un qualcosa che ti distingua non è facile. Ancora Lasthour: “Ho sempre avuto il mio stile ma, ovviamente, questo si è evoluto nel tempo. Cose che pensavo di non fare, adesso le ho fatte. Esempio è il mio ultimo pezzo in collaborazione con Maciste. Con Mirko ci conosciamo da una vita, ma avevamo stili diversi. Beh, alla fine ci siamo incontrati con il brano 180, che è un banger sulla wave arrivata in Italia dalla Detroit trap. Un genere perfetto per i club, che lascia spazio sia a rappate crude che a linee melodiche. E abbiamo lavorato insieme. Con grande soddisfazione. È così che funziona”. Il linguaggio è cambiato. Come il modo di interagire. Le forme di espressione attuali fanno sembrare giurassico il modo di pensare, di fare, solo di due decenni fa. Un mondo che brucia tutto alla velocità della luce e in cui è difficile distinguersi. Provarci, con uno scopo, persino nobile, è rarità. Lasthour, al secolo Germano Bonora, ci sta provando. Con gli amici di sempre.
Carlo Marrazza