Nel 1973, tutti i più importanti giocatori del circuito tennistico decisero di boicottare il torneo di Wimbledon. Nell’ultima settimana di giugno, data consueta di inizio dei giochi alla All England Lawn Tennis and Croquet Club, nessuno degli allora primi 30 giocatori al mondo varcò i cancelli di Church Road. Chiedevano più soldi, si lamentavano di un montepremi troppo basso. Il torneo si disputò lo stesso, con tanti giocatori dilettanti in tabellone. Vinse il cecoslovacco Jan Kodes, in quella che fu l’edizione che fece registrare il maggior numero di spettatori della storia. Ma quella vicenda fu solo l’apice di una faida tra giocatori ed organizzatori dei tornei che durava da tempo, fin dagli anni ‘60, allorquando i grandi campioni dell’epoca, i primissimi, i big del calibro di Ken Rosewall, Roy Emerson, Rod Laver e Pancho Gonzales fondarono un loro circuito di tornei “professionistici”, il Team Tennis, con lauti sponsor, jingle pubblicitari in tv e sui giornali e appuntamenti in America e in Australia che si sovrapponevano ai consueti tornei del Grande Slam. Nessuno, e dico nessuno, ricorda risultati, palmares e incontri dei tornei del Team Tennis degli anni ‘60. Il risultato di quella storia, ormai lontana, fu semplicemente che i grandi campioni del tempo si ritrovano oggi con molti titoli in meno a Wimbledon e al Roland Garros perché preferivano, esclusivamente per un ritorno economico, giocare nel circo parallelo del Team Tennis. Emblematica la vicenda di Ken Rosewall, a detta di molti esperti il più forte giocatore di tennis mai esistito, che non ha mai vinto Wimbledon poiché vi partecipò solo due volte. Nel 1954 e fu finalista a soli 19 anni, per poi tornare sui prati londinesi quando ne aveva 39 anni, ovvero 20 anni dopo, e fu di nuovo finalista sconfitto dal giovane ed emergente Jimmy Connors. A tutt’oggi, nessuno nella storia di Wimbledon e del tennis mondiale è riuscito a fare due finali del Grande Slam a 20 anni di distanza l’una dall’altra. Ci è riuscito solo Ken Rosewall, che però buttò almeno 15 anni della sua carriera nel circuito miliardario e parallelo del Team Tennis.
TRADIZIONE VUOL DIRE EMOZIONE
A questo punto, vi chiederete cosa c’entra questo ragionamento con la creazione della Superlega nel calcio e quali sono le ragioni di questo storico parallelismo sportivo. Molto semplice. Tradizione, questa è la parola chiave. Eppure, da quel che leggo e sento in tv, dai comunicati stampa della FIFA e dell’UEFA, dalle comunicazioni e dagli annunci dei club fondatori (che di seguito definirò “scissionisti”) questo concetto sfugge. Pensare che 15 o 20 club calcistici, seppure di grandissima storia e con un enorme numero di tifosi, possano creare dal nulla, e di punto in bianco, una competizione che immediatamente possa acquisire importanza e peso sportivo è assolutamente fuori da ogni logica, non solo calcistica. Perché, appunto, esiste nello sport un concetto che porta il nome di “tradizione”. Quella che gli ultracentenari tornei del Grande Slam avevano e che, seppur senza i giocatori più forti e famosi, continuarono a conservare anche se un gruppo di 15/20 tennisti avevano scelto di giocare altrove. Quei campioni di allora guadagnarono sicuramente tanti soldi. Ma non se li filò nessuno. E questo accadrà anche alla Superlega.
CI SONO COSE CHE NON SI POSSONO COMPRARE
Mi sono limitato a toccare l’argomento su un piano esclusivamente emozionale, poiché il calcio è pathos, è appartenenza, storia, sogno. Jorge Luis Borges scrisse che “ogni volta che vediamo per strada un bambino che gioca a pallone, è lì che ricomincia la storia del calcio”. E i bambini che iniziano a giocare sognano. E sognano di vincere il Mondiale o la Coppa dei Campioni o uno scudetto. Come hanno fatto Maradona, Pelè, Crujff oppure Zoff, Bruno Conti, Scirea, Tardelli, Totti, Del Piero, Zidane e Ronaldo Il Fenomeno. Non sogneranno mai di vincere la Superlega. Vi sono poi, ovviamente, anche degli aspetti normativi che, in questo momento, stanno con forza emergendo. In molti ne stanno parlando e tanti di voi ormai sono informatissimi su cosa FIFA e UEFA stanno minacciando di fare nei confronti dei club scissionisti. FIFA e UEFA sono organizzazioni molto ricche e molto potenti. Lo sono da decenni, rappresentano lobby con intrecci economici e politici. Gli scissionisti sono soltanto 15 club sicuramente ricchi, molti dei quali con stadi di proprietà, con i giocatori più forti e famosi. Ma sono solo 15 squadre. E 15 squadre non sono e non saranno mai il calcio. Al massimo, potranno essere un pezzo deviato di esso, una pattuglia di mercenari che ha scelto di rompere le linee e uscire dai ranghi perché il rancio è cattivo, contando sulla logica cara a Big Paul Castellano. Ovvero, “comandano i soldi”. Ma il denaro non può comprare le emozioni della gente, e neppure la storia del calcio.
Carmine Caramante