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LE “PAGINE SULLA GUERRA”: LA LEZIONE DI BENEDETTO CROCE

Recensione del libro “La feroce forza delle cose” di Carlo Nitsch, professore ordinario di Filosofia del diritto nell’Università degli Studi di Napoli Federico II e studioso del pensiero crociano.

Le guerre sono tante e sono molto spesso taciute, a-mediatiche, indirette. Peraltro, anche lì dove l’età contemporanea sia attraversata da episodi di guerra cosiddetta “diretta”, essi ci appaiono avulsi, lontani dal nostro vivere. In particolare, con riferimento alla globalizzazione, si tende ad affermare, talvolta con estrema superficialità e scarsa coscienza storica, che il concetto di guerra tradizionale, inteso come scontro diretto tra carri armati che si sparano proiettili a vicenda, risulti oramai essere superato e che le sole tensioni tra nazioni da considerare siano quelle rinvenibili nelle guerre commerciali (o comunque a carattere speculativo). E invece le cose non stanno esattamente così. La recente guerra Russia-Ucraina, dovuta alla richiesta d’ingresso di quest’ultima tra i Paesi della NATO ha già prodotto consistenti ripercussioni anche in casa nostra, a cominciare dalle ingerenze dettate dagli interessi economici sul gas, sulle riserve energetiche, sull’aumento dei prezzi e via discorrendo. Dal punto di vista psicologico, poi, l’ipotesi anche solo paventata di un conflitto mondiale ci pone di fronte al seguente interrogativo: quale filosofia (se la filosofia può ancora costituire un valore non solo teoretico ma anche pratico) può meglio rappresentarci in questo particolare momento storico? Quella statalista, fortemente improntata alla difesa dei confini nazionali e che traccia deserti di incomunicabilità tra le diverse nazioni, o piuttosto quella che, facendo leva su una visione sempre più innovativa ed esistenzialista, guarda alla condizione di umana sofferenza e disperazione, ponendo l’accento sulla questione morale della guerra e sulla crisi dei valori etici? Procedendo in questa direzione, ci viene in soccorso l’opera “La feroce forza delle cose” del prof. Carlo Nitsch, saggio su Benedetto Croce, il quale ci mostra come il grande pensatore napoletano avesse, già nel corso della prima guerra mondiale, sviluppato riflessioni sulla questione oggetto di attenzione che non riguardavano più solo il rapporto Stato-guerra, bensì la triade Stato-guerra-individuo. Nella sua raccolta di scritti dal titolo “Pagine sulla guerra”, la tematica viene sviscerata da Croce da ogni possibile angolazione, quale testimone diretto di un evento drammatico che avrebbe turbato irrimediabilmente gli equilibri interni ed esterni degli Stati protagonisti del conflitto mondiale, nonché le vite e le anime di ogni singolo individuo (direttamente o indirettamente) coinvolto. Soprattutto emerge, dalle pagine del libro che contengono degli estratti del contributo speculativo crociano, che, proprio grazie a tale contributo, la Filosofia del Diritto vede tornare al centro del dibattito l’individuo e le sue tensioni morali. Nel contempo, attraverso la conflittualità bellica, si assisté a una regressione del diritto dal ruolo che avrebbe dovuto assolvere, ossia venne meno la sua funzione aggregatrice all’interno della comunità degli Stati e si ripristinò il suo utilizzo finalizzato unicamente a sottolineare la centralità, la potenza e l’identità dei singoli Stati; espressioni, a loro volta, dei personalismi e degli egoismi di sorta e del clima di sopraffazione che la guerra aveva ingenerato, aspirando ciascuna entità statuale ad affermare il proprio predominio nel panorama internazionale. Tutto ciò comportò un significativo rallentamento del processo di internazionalizzazione del diritto e dei valori ad esso sottesi, primo fra tutti quei valori morali ed etici che mirano a garantire la pace tra i popoli, ma che non sono riusciti a trovare, nemmeno ai nostri giorni, una vera e propria condivisione d’intenti, tale da surrogare la forza giuridica dei singoli Stati. E difatti, il processo di internazionalizzazione non è mai giunto a compimento in maniera effettiva: basti pensare che Russia e Stati Uniti sono entrambi Membri Permanenti del Consiglio dell’ONU, eppur continuano a minacciarsi guerra, nelle più svariate forme. Come se il ruolo della morale fosse stata e continuasse a essere, ancora ai giorni nostri, secondaria nelle relazioni tra gli Stati, in ogni caso incapace di neutralizzarne le pretese assolutistiche. Ponendo chiare le dovute differenze tra i diversi periodi storici, ricordando che Benedetto Croce è stato il papà del neo idealismo italiano, che traeva il suo pensiero dalla critica hegeliana riportata alla sua contemporaneità, in cui il dibattito sociologico e politico era ancora pregno di nazionalismo e patriottismo (concetti, tra l’altro, in Italia affermatisi con un certo ritardo rispetto al resto dell’Europa), è lapalissiano che la lettura storica e politica di quegli anni, caratterizzati dall’imperialismo e dallo statalismo, non contemplava il riconoscimento né la cultura dei diritti umani, così come li intendiamo oggi. Ciò nonostante, è interessante e suggestivo osservare come lo stesso Croce abbia dato spunti di notevole modernità, nella misura in cui, sebbene in un primo momento si fosse mostrato convintamente favorevole a una visione nazionalistica pura, negli scritti più recenti, invece, a fronte delle empietà e delle scelleratezze della guerra, si assiste a un affinamento del suo pensiero, quasi che l’esperienza diretta lo abbia posto di fronte a quelle disumane criticità che l’approccio teoretico non gli consentiva di interiorizzare fino in fondo e rispetto alle quali il filosofo non può rimanere indifferente, nella misura in cui la filosofia non può essere uno strumento votato alla cieca affermazione di un sistema socio-politico. La sua attività speculativa non è inficiata dall’urgenza di preservare una linearità sistematica e aprioristica, tutt’altro, assume i connotati di una coerenza evolutiva, fedele solo al suo sentire, e il suo sentire tende a umanizzarsi man mano che il suo vissuto gli rivela l’incoerenza di un diritto nazionale che non arresti le sue pretese nemmeno di fronte alla sofferenza degli uomini, lì dove lo Stato è concepito proprio a difesa degli individui che lo compongono, per arrecare loro vantaggi e non svantaggi. Le “Pagine sulla guerra” di Benedetto Croce, così sapientemente inquadrate nei loro punti nevralgici dalla rara sensibilità del prof. Nitsch attestano, infine, altrettanta modernità di contenuti lì dove si spingono a formulare il concetto di inutilità della guerra. Scrive Croce che, là dove si realizzi l’accordo tra le popolazioni in disputa, non potrà che risultare, pur nell’antitetica determinazione degli interessi in gioco, dalla coincidenza delle rispettive volontà; diversamente, in assenza di un accordo, e cioè lì dove le due volontà divergano, nessuna guerra potrà mai risolvere il problema e favorire il reciproco incontro di volontà, surrogandosi all’accordo stesso. Ragion per cui, in questi casi, o verranno meno le condizioni di una qualsivoglia interazione tra i soggetti coinvolti, oppure essi penseranno, erroneamente, di risolvere il problema ricorrendo alle armi e invece non sarà altro che il gettare le basi di una lunga e dolorosa gestazione di un accordo futuro: l’inevitabile, naturale esito di tutte le guerre. “La feroce forza delle cose” (edizioni Bibliopolis, 2020) è disponibile sulle piattaforme di vendita online e ordinabile in tutte le librerie.

Milena Cicatiello

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