Tra le sicure cause di crisi del nostro sistema economico, opinione su cui concordano varie correnti di pensiero, c’è senza dubbio quella di una fiscalità giudicata, a seconda delle posizioni ideologiche, eccessiva, pressante, obsoleta, frustrante, iniqua, farraginosa. Mentre si studiano aggiornamenti e semplificazioni, che accendono spesso un aspro confronto tra le forze politiche e che il più delle volte si arenano di fronte alla barriera corallina del debito pubblico e dei costi dello Stato, ecco che arriva la “norma liquida”, quella che, in maniera silente, apparentemente neutra, è invece destinata a stravolgere un intero mondo, stavolta non quello dell’economia ma, udite udite, quello del sociale, dell’impegno civile, del volontariato e dell’aggregazione. Già! Stavolta il fisco, facendo finta di niente, allunga la sua mano sulle associazioni. Sì, proprio quelle che le persone mettono su per impegnarsi insieme in attività che spaziano dal culturale al sociale, settori in cui spesso le istituzioni risultano assenti o distratte, e che vengono sostenute dall’impegno, dalla passione e dalle economie dei soci e di qualche novello mecenate. La nuova norma, infatti, passata quasi inosservata, mentre i nostri media ci aggiornavano ininterrottamente di nuove varianti, terze e altre dosi (per carità, assolutamente utili!), impone alle associazioni, dall’1 gennaio 2022, di assoggettarsi a pieno titolo al regime IVA, pur non svolgendo alcuna attività commerciale. In pratica, si passa dal regime di esclusione IVA a quello di esenzione che è tutt’altra cosa e che assimila le semplici associazioni, con introiti entro i 65.000 euro (potremmo dunque dire tutte), ai professionisti in regime forfettario, almeno fino alla piena operatività delle disposizioni del titolo X del codice del Terzo settore (DL n. 117 del 2017), che però prevede una serie di provvedimenti che in parte potrebbero bilanciare il peso della contabilità IVA.
Ma in cosa consiste la differenza?
Beh, è davvero tanta da risultare epocale e da rischiare di portare a una profonda crisi del settore. La novità, infatti, comporta costi di tenuta della contabilità dell’IVA, oneri vari e altri adempimenti burocratici, che per gli enti in cui non è previsto il lucro risulteranno determinanti. Bisogna anche tenere da conto che, tra l’altro, nelle associazioni, il legale rappresentante e coloro che agiscono in nome e per conto del sodalizio rispondono personalmente e con il loro patrimonio personale alle obbligazioni assunte dallo stesso (art. 38 del Cod. Civ.) e che questo aspetto riguarderà anche eventuali errori o omissioni che proprio in tema di IVA possono davvero provocare conseguenze gravose. La politica spiega che alla base di questa novità fiscale c’è la necessità di rispondere a una procedura d’infrazione europea del 2010 per il mancato recepimento della direttiva comunitaria sull’IVA del 2006. Vale la pena osservare, tuttavia, che nel provvedimento comunitario non sembra esserci alcun riferimento alla questione, lasciandoci immaginare che probabilmente poteva anche essere studiata una diversa soluzione, specie tenendo conto di cosa rappresentano l’associazionismo e il volontariato nel nostro Paese e anche al fine di evitare le speculazioni populiste (ahinoi, sempre in agguato). Le reazioni sono state registrate e sono stati presentati e approvati molti ordini del giorno che chiedono al Governo di cancellare questo provvedimento. Una soluzione potrebbe anche essere quella di garantire alle associazioni, specie le piccole, la tenuta contabile gratuita attraverso i CAF. Intanto, però, il problema resta.
Milena Cicatiello