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QUELLA VOLTA CHE RISCHIAMMO DI PERDERE I TEMPLI

Photo Gabriele Conforti.

Non viene spesso ricordato che, nel 1740, Paestum ha vissuto la nefasta possibilità che i suoi Templi fossero smantellati e portati via. Infatti, proprio in quell’anno, l’architetto Ferdinando Sanfelice suggeriva al sovrano di Napoli di utilizzare le colonne doriche pestane a ornamento del Palazzo Reale di Capodimonte e sembrava che la cosa fosse ormai in procinto di essere eseguita. Per fortuna i Re erano capricciosi e cambiavano spesso idea. Infatti alla fine non se ne fece più nulla. Ma cosa sarebbe stata Capaccio Paestum senza i Templi? Visto che per secoli si è attinto al loro prestigio per accreditare qualunque espressione locale, viene da chiedersi se una presenza così dominante non abbia nel tempo provocato una sorta di lassismo, un cullarsi sugli allori di un vantaggio fortuito, cui non sempre si è risposto con una meritevole laboriosità. Oggi, per fortuna, si avverte un cambiamento di rotta. Seppure viviamo un momento di crisi globale, è evidente che Capaccio Paestum sia animata da un certo fermento politico, in senso classico, di estrema importanza. L’attenzione posta ultimamente su varie filiere, ritenute da sempre secondarie o non abbastanza significative da farle emergere dall’ombra delle colonne doriche dei Templi e, al contempo, l’avvio di strategie di connessione tra le stesse, secondo le logiche di uno sviluppo integrato, stabiliscono obiettivi chiari in cui l’intera comunità è chiamata a dare il proprio contributo per edificare la Polis del futuro. Già da diversi anni, l’agricoltura sta assumendo caratteri sempre più identitari e le produzioni puntano alla qualità più che alla quantità, rispetto a quanto avveniva un tempo. Il connubio magico tra le specialità del comparto e l’agrizootecnia è sempre più marcato e i prodotti agricoli, principalmente quelli trasformati, sono entrati a pieno titolo nell’offerta dei caseifici, che rappresentano una vera e propria rete, qualitativamente molto prestigiosa, di terminali di filiera. La mozzarella non è più una regina solitaria ma un catalizzatore intorno al quale si misurano ricadute trasversali molto significative, sia per i numeri sia per il valore della conseguente brandizzazione del “made in” locale. Anche il turismo si sta velocemente riqualificando. Innanzitutto la riscoperta del mare, della fascia costiera come luogo riconosciuto e non più come semplice accessorio stagionale e non luogo, alla nuova veste degli stabilimenti balneari e al ruolo degli alberghi, sempre più liberi dalla loro etichetta di strutture al servizio esclusivo dell’industria dei matrimoni e pronti ad accogliere nuovi target. Questa fase è ancora più esaltante se si considera che oggi a fare da collante tra le filiere viene chiamata la cultura. Una cultura attiva, capace di vivere in osmosi con lo sviluppo sociale ed economico e di generare comunità anche riferendosi a un’area più vasta rispetto ai confini comunali, recuperando la Chora, per affrontare sfide sempre più ambiziose. Avvertiamo tutto ciò anche nella corsa di Capaccio Paestum e dell’Unione dei Comuni Alto Cilento al ruolo di Capitale Culturale italiana. Il progetto, indipendente dall’esito auspicato, è l’emblema di un percorso che sembra ormai inarrestabile e destinato a dare frutti già nel medio periodo. Stiamo assistendo alla creazione di un hambitus territoriale finalmente libero dal complesso di Edipo, rispetto alle vestigia del passato. E in questo, ovviamente, anche il ruolo del Parco Archeologico assume una nuova e diversa centralità, più matura, vissuta con maggiore consapevolezza dalla comunità. Negli scorsi decenni i Templi venivano metaforicamente “depredati” per dare forma a contenuti spesso discutibili. I nomi delle antiche divinità e i capitelli servivano a disegnare insegne per svariate attività economiche, senza che si costruisse un nesso reale con la matrice culturale. Ora si sta ponendo rimedio e, di certo, seguitando in questa direzione, il vantaggio di possedere le rovine di Poseidonia non sarà più solo il motivo di un corto circuito ma un valore aggiunto per l’esaltazione di tante altre peculiarità, tra cui anche i beni così detti minori che finalmente sono oggetto di recupero e riqualificazione in maniera organica. Seguendo queste linee guida, dunque, la Capaccio Paestum dei prossimi anni sarà comunque una Capitale.

Milena Cicatiello

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