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RAFFAELE CUTOLO, UN MORIBONDO TORTURATO DALLO STATO FINO ALLA MORTE

Questo è un articolo molto complesso. Chi ha pregiudizi o certezze piccolo borghesi, eviti di leggerlo. Chi invece si approccia alla storia con spirito di ricerca, potrà, mi auguro, trovare in questo scritto (se avrà voglia e piacere di dedicargli qualche minuto) almeno qualche spunto di riflessione. Non è un’apologia, lungi da me. Raffaele Cutolo è responsabile diretto di decine e decine di omicidi, il mandante di assassinii di indimenticati uomini delle istituzioni, l’ideatore, il fondatore e il capo indiscusso di un’organizzazione che ha paralizzato la Campania e larga parte del Paese per almeno due decenni. Questo non lo dico io, lo dicono le carte, le sentenze, le cronache, la storia vera e quella romanzata. Eppure, nel rispetto delle vittime della NCO, le carte non dicono tutto. A volte per mancanza di volontà di approfondire, altre volte perché è stato meglio tacere su uno spaccato di realtà molto compromettente per lo Stato e la nostra società civile.

DIVENTARE CRIMINALE IN CARCERE

Quando Raffaele Cutolo entrò in galera, giovanissimo, non era il capo della NCO. Era solo (si fa per dire) un giovanotto con la “testa molto calda”, reo di aver ucciso di botte un suo compaesano che, a suo dire, aveva insidiato l’onore della sorella Rosetta. La Nuova Camorra Organizzata è nata, pertanto, nelle carceri italiane, arrivando fino a contare 7000 affiliati. Cutolo, insieme ai suoi sodali, comprese che, in una realtà meridionale in cui lo Stato era completamente assente, sarebbe stato agevole reclutare detenuti (che di volta in volta uscivano e quindi costituivano forza militare nelle strade) formando un’associazione che praticava il collettivismo e garantiva mutuo soccorso ai carcerati, alle loro famiglie e a tutti gli appartenenti. Di fatto, con metodi violenti e criminali, la NCO fu un vero e proprio “partito politico”.

LA NCO

Chi controllava le carceri, era potente fuori dalle carceri. Questo era il principio ispiratore della NCO, un’associazione camorristica ma non l’unica associazione camorristica. Raffaele Cutolo non era il “capo dei capi” della Camorra. Era al comando di una delle organizzazioni camorristiche che, tra l’altro, ebbe vita molto breve. La NCO, fondata all’incirca tra il 1974 e il 1975, agli inizi del 1984 era già un’organizzazione non più egemone e sconfitta dal cartello che gli si contrappose, ovvero la Nuova Famiglia, guidata da numerosi boss tra i quali spiccavano Carmine Alfieri e i fratelli Nuvoletta (questi ultimi, uomini di Cosa Nostra in Campania). La parabola della NCO e dei cutoliani fu quindi molto circoscritta nel tempo, ma intensa. Neppure loro, tuttavia, sfuggirono dal diventare un’agenzia del crimine al servizio di pezzi deviati delle istituzioni.

LE CONNIVENZE

Note e dimostrate sono le circostanze che hanno visto, nella seconda metà degli anni Settanta e agli inizi degli Ottanta, lo Stato, pezzi deviati di esso, e le istituzioni chiedere collaborazione e aiuto alla Nuova Camorra Organizzata e alla persona di Raffaele Cutolo, finanche quando lo stesso, per un brevissimo periodo (in seguito all’evasione dal manicomio criminale di Aversa, in cui era finito grazie a perizie compiacenti) fu latitante proprio dalle nostre parti, in un casale nell’agro del comune di Albanella. Ciò è avvenuto nel caso del rapimento dell’Assessore Regionale della Dc Ciro Cirillo (1981) e, prima ancora, nel sequestro di Aldo Moro che era prigioniero a Roma, in via Montalcini, a poche centinaia di metri dalle residenze di alcuni esponenti della Banda della Magliana a cui Cutolo chiese di fare ricerche ottenendo l’ubicazione del posto preciso nel quale era prigioniero lo statista. Ma poi, sempre quegli stessi pezzi dello Stato dissero a Cutolo che il suo aiuto era superfluo perché Moro era, a quel punto, per gli equilibri di chi tesseva la tela, meno pericoloso da morto che da vivo.

UNA FINE CHE PERSINO CUTOLO NON MERITAVA

Partiamo da un presupposto. La Costituzione italiana fonda il sistema carcerario sul recupero del reo. Il carcere è considerato come luogo di espiazione della pena e, nello stesso tempo, come percorso di redenzione e di ricerca dei valori necessari al pieno reinserimento del reo nella società. Questo, purtroppo, in Italia non avviene sempre. Soprattutto in virtù di due istituti giuridici: il 41bis (cosiddetto carcere duro) e l’ergastolo ostativo (fine pena mai). Tanto si è dibattuto su questi temi e su possibili riforme. Una cosa è certa, un sistema carcerario che non consente al reo di scontare la pena con una prospettiva di ritorno alla vita normale è aberrante. Viene meno il principio costituzionale di reinserimento nella società e diventa impossibile per il detenuto l’intrapresa di un percorso carcerario virtuoso in assenza di obiettivi. In pratica, il reo diventa un murato vivo. Tanto vale (e lo sostengono molti ergastolani) istituire la pena di morte. A questo discorso vanno poi unite le condizioni vergognose di tante carceri italiane. Veri e propri gironi infernali che trasformano detenuti comuni in criminali efferati. Raffaele Cutolo, morto il 17 febbraio 2021 a 80 anni, da tempo malato e non più a capo di nulla almeno già dal 1992, ha vissuto quasi 60 anni della sua esistenza in carcere. Gli ultimi 29 dei quali al 41bis, come uno zombie. Nessuno nella storia del nostro Paese è stato per così tanto tempo in galera, senza permessi, senza possibilità di sperare nella semilibertà. E il nostro, l’Italia, è il Paese nel quale gli esecutori materiali della strage alla Stazione di Bologna, quelli di Piazza Fontana e di Piazza della Loggia, pur essendo stati giudicati in via definitiva, in base a quanto previsto dalla legge sono oggi o in semilibertà o in libertà condizionata o addirittura a piede libero. Negli ultimi anni, se non prima visti casi analoghi, a Raffaele Cutolo lo Stato avrebbe potuto risparmiare questo calvario accogliendo le istanze di scarcerazione per gravi motivi di salute presentate più volte dai suoi legali e consentire ad un uomo gravemente malato, e senza più alcun potere o influenza, di trascorrere il suo ultimo periodo di vita a casa con la sua famiglia. Sarebbe stato semplicemente in linea con i principi costituzionali e i valori umani e morali che sono alla base della nostra Carta.

Carmine Caramante

* In memoria delle tante vittime di camorra che la NCO ha brutalmente lasciato sulle strade scrivendo una pagina tra le più nere della nostra storia.

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