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SERGIO VECCHIO E QUEL SENSO DI INCOMPIUTO

Recensione del libro “Spazio all’arte e alla prosa” di Paolo Paolino.

C’è un filo conduttore che lega gli artisti Sergio Vecchio, Giovanni Desiderio e Salvatore Renzi, ognuno dei quali profondamente legato alla storia, anche culturale, di Capaccio Paestum: è il patrimonio valoriale che Paolo Paolino, autore del libro “Spazio all’arte e alla prosa”, raccoglie dall’incontro spirituale con ognuno dei tre protagonisti, lanciando un messaggio che appare nitido e conciso sin dalle prime pagine dell’opera: nella finitudine dell’uomo c’è la fierezza delle radici, immutabili e perpetue. Sergio Vecchio, che l’autore definisce “un amico scomparso troppo presto”, noto e apprezzato grafico, pittore e ceramista, “poeta inquieto” (volendo usare un’espressione utilizzata dal prefatore Gaetano Paolino), cui va riconosciuto il merito di aver sempre ricercato uno stile originale per descrivere le sue conoscenze della storia antica, sviluppatasi all’ombra dei Templi, ma anche per raffigurare la civiltà contadina dedita al lavoro e gli strumenti utilizzati per la coltivazione dei campi: immagini sempre più rare da ammirare nella nostra Piana. Il suo impegno fu sempre rivolto alla scoperta e alla rappresentazione dei mondi sommersi della mitica Paestum, affinché la gente ne ammirasse il valore archeologico di universale interesse. Salvatore Renzi, napoletano di origine, trascorse molti anni a Capaccio Paestum e si dedicò alla rappresentazione di particolari e significativi scorci del territorio che l’ospitava, raggiungendo, tuttavia, punte di eccellenza nella ritrattistica, lasciandoci così in eredità numerose foto-ritratti di volti immortalati su tela. Giovanni Desiderio, prossimo ai cento, pittore autodidatta dall’età di dieci anni, è un artista capace di trasfondere le proprie emozioni in grandi campiture di colori traboccanti di luminose atmosfere mediterranee, con la padronanza dell’uso del colore e la disinvoltura delle tecniche adoperate e apprese anche all’estero, dall’espressionismo all’impressionismo. L’ultimo saggio di Paolo Paolino è riuscito nell’intento di raccontarci le variegate esperienze di tre artisti diversi ma tutti meritevoli di un grato apprezzamento e costituisce, pertanto, una preziosa documentazione storica dei fermenti artistici che hanno dato lustro al nostro territorio, quali anelli di congiunzione tra la storia antica e quella moderna. Il tutto filtrato dalla grande sensibilità dell’autore, che ne mette in evidenza anche i punti di contatto, in particolare l’impulso irrefrenabile a esorcizzare, attraverso l’arte, paure e angosce del quotidiano e la ricerca spasmodica di un infinito verso il quale tendere, nella consapevolezza (che quasi mai equivale a serena accettazione) di non poterlo raggiungere. A impreziosire l’opera, in appendice, alcune pregevoli prose dell’autore, ispirategli dal sodalizio nato con Sergio Vecchio, durato oltre quarant’ anni, ossia sino alla morte del maestro, del quale Paolino conserva intatta la memoria e ne tratteggia dettagliatamente, in maniera quasi maniacale, la poliedricità artistica, le nozioni classicistiche, la conoscenza della storia e l’attitudine alla ricerca e alla sperimentazione, pur senza scadere in una ricostruzione enciclopedica e convenzionale del personaggio; tutt’altro, rievocando gli slanci passionali (testimoniati anche dallo scambio epistolare avvenuto tra i due e pubblicato nel volume) e il sentimento fraterno che animavano quegli incontri, occasione di arricchimento reciproco e per abbandonarsi a dissertazioni di ampio respiro, ma che spesso avevano il sapore dell’irrisolto. Quel senso di incompiuto ha attraversato l’intera esistenza di Sergio, scandita da momenti di grande solitudine e pessimismo, di incomprensioni e di disinteresse di talune istituzioni per la cultura e per l’arte, e ha segnato altresì la sua morte, avvenuta prima che potesse portare a termine il suo magnum opus: la creazione dell’Archivio Storico di Paestum. Palpabile, nella scrittura di Paolino, è l’ambivalenza delle grandi aspirazioni, che, se da un lato proiettano l’artista ben oltre i meandri della propria creatività, dall’altro devono fare i conti con i non pochi limiti di natura burocratica e con la mancanza di finanziamenti adeguati da parte dell’Amministrazione comunale. Tale progetto, di rilevante interesse culturale e storico, è rimasto ancora oggi inattuato. Tra le prose di Paolino, degna di segnalazione, in quanto rappresentativa della tensione emotiva che attraversa l’intera opera, è senz’altro il componimento dal titolo “Le affinità”, che riportiamo di seguito:

“Rapito da espressioni spontanee,

amare, preoccupate.

Avverto il malessere

che mi attraversa.

Affinità ideali, culturali, sociali,

personali, sentimentali.

Legano esperienze, età diverse,

disegnano l’invisibile

trama spirituale che governa

questa magica stagione

esistenziale dell’intelletto”.

 

Milena Cicatiello

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