A Tredozio, dove la poesia si fa “Onesta”, come direbbe Umberto Saba.
Avere una rubrica dove scrivere spesso coincide col non sapere cosa scrivere. Non per mancanza di argomenti, che tra un governo che cade e una guerra in atto pure abbondano, ma per l’incapacità di raccontarli e forse anche per l’apatia di approfondirli (complice il caldo e di conseguenza l’emergenza climatica che pure è un tema sul quale scrivere). Da un po’ di tempo, inoltre, c’è la malsana abitudine di bollare come intellettuali, scrittori, poeti, amanuensi e copisti di quartiere tutti coloro che nelle loro opere non parlano di “impegno civile, società e umanità” e questo ha minato ancora di più la mia inventiva, colpevole, troppo spesso, di allontanarsi dalle cose concrete per perdersi in posti remoti e stravaganti. Sia chiaro, a punzecchiarmi non erano i termini intellettuali, poeti e via dicendo a cui non sento di appartenere, bensì il termine “quartiere”, quello sì leggermente fastidioso e non per la sua dimensione urbana ristretta, piuttosto per il fatto che io amo essere un “uomo di contrada” senza tutti quei fronzoli letterari che gli stanno intorno. Pensavo a questo mentre riflettevo su cosa scrivere in questo spazio e senza riuscire a venirne a capo, privo di spunti e suggestioni, com’è normale per chi, appunto, sa parlare soltanto della sua Contrada e da questa ne è troppo lontano persino per immaginarsela. Dunque, ero prossimo alla disfatta del foglio bianco, quando ho sentito il cellulare squillare: Pronto? Era Anna Maria. La mente, i pensieri, sono subito ritornati a Tredozio, un Paese incastonato come uno smeraldo tra i colli romagnoli. Abbiamo parlato, abbiamo ricordato gli attimi di pochi giorni prima trascorsi a ridere e a scherzare, con lei, Gloria, la mia famiglia, Lorenzo e tutta la truppa tredoziese d’origine e adottiva. Ho pensato a come in un paese grande quanto una contrada si riesca ancora a fare cultura in maniera genuina e spontanea, senza falsificazioni e presunzioni, con l’unico intento di farsi collettività e divertirsi. Un posto dove la poesia è importante, vero, ma conta anche altro (ciò senza escludere che il Premio “Maria Virginia Fabroni” ha ricevuto circa mille poesie quest’anno). Ed è forse questo il motivo per cui da qualche anno è diventata anche la meta delle mie vacanze familiari. Lì, dove i poeti fanno “la poesia onesta”, come direbbe Saba, dovrebbero volgere lo sguardo ogni tanto pure i poeti e le poetesse di casa nostra, se non fosse altro per comprendere che spesso c’è più verità in un “quartiere” che non in centinaia di false “metropoli”. In fondo, come ho già scritto altre volte, per me è questo il lato sociale della poesia: una famiglia che si ritrova, gli amici che si rivedono e un Borgo fantastico dove riunirsi.
Pasquale Quaglia