L’idea di eroismo corre nei pensieri delle umane e degli umani dall’alba dei tempi. Da quando siamo in grado di rappresentare e di autorappresentarci, succede di pensarci potenziatƏ, di darci delle super virtù – si vedano l’incommensurabile coraggio di Ettore, l’aretè di Achille (il suo valore sul campo di battaglia socialmente riconosciuto), la proverbiale astuzia di Ulisse, la superforza di Ercole. Le super qualità delle donne hanno quasi sempre un lato sinistro: la dea-maga Circe è quasi una di quelle che Propp definirebbe streghe, Didone è regina dei piagnistei, la ninfa Calipso una campionessa di frustrazione, Cassandra una civetta del malaugurio e a ben guardare anche l’orizzonte ultimo di Antigone, valorosa eroina sofoclea, animata da grande senso di giustizia e in lotta contro la tirannide, è il sacrificio personale. Per non parlare poi di quelle due folli di Clitemnestra e di Medea. Insomma, sorvolando sulla non più sorvolabile disparità di trattamenti in base al genere, i miti e le leggende sono pieni zeppi di modelli di esemplarità che però, data la loro straordinarietà, tanto esemplari non possono mica essere. L’eccezionalità non è descrittiva della realtà. Il mondo letterario ad un certo punto, nel Seicento, si è anche cimentato nella parodia dei prodi cavalieri: le rocambolesche avventure di Don Chisciotte permettono maggiore immedesimazione da parte di sognatori e poveri illusi che le gesta di Orlando. Con l’Ottocento e il Romanticismo ai classici eroi e alle classiche eroine si oppongono le figure degli antieroi e delle antieroine che danno misura della crescente complessità del reale. L’antieroismo non è solo mancante dello “spirito” che caratterizza l’eroismo – ne saranno massima espressione le figure decadenti dell’inettitudine novecentesca – ma ne è quasi l’altra faccia: l’antieroe può scendere a patti col male per avere ragione dei propri desideri e volontà. Oggi l’immaginario eroico non è più dominato da spade, scudi, elmi, buon cuore e impavidità, ma da mantelli, maschere e super poteri. Prodotto della cultura pop, fumetti e serie tv hanno per protagonisti esseri nelle cui facoltà è la possibilità di sfidare la natura, contraddire le leggi della fisica allo scopo di ristabilire la giustizia e l’ordine compromessi dai cattivi. Ad indagare e spettacolarizzare il lato oscuro del supereroismo è la recente serie televisiva, The Boys, ideata da Eric Kripke per PrimeVideo e basata sull’omonimo fumetto creato da Garth Ennis e Darick Robertson. In breve, i supereroi e le supereroine della serie sono alle dipendenze di una multinazionale, la Vought International, ed agiscono come burattini manovrati dalle dinamiche economiche del neo-liberismo e dai mezzi di comunicazione di massa moderni, i social. Uomini e donne, resi invincibili alla nascita, che non hanno perso fragilità, insicurezze, traumi, frustrazioni, egoismo, narcisismo, brama di potere e desiderio di approvazione. Perché ci serve immaginare dei superpoteri per realizzare una società giusta ed eguale? Sarebbe necessario, se potessimo contare sul nostro umanesimo terreno? Se ci sapessimo pensare come uniti, insieme, e non come singoli, soli e disuniti ci servirebbero i supereroi? Sarebbero fenomeni da baraccone, sarebbero mostri. E visto che si avvicinano le elezioni, anche in politica, a cosa servirebbero gli eroi, i cosiddetti e le cosiddette leader, se la politica ce la facessimo noi, consci dei nostri diritti, delle nostre istanze e della nostra visione di società? Davvero i nostri “eroi” potrebbero paventare l’idea della necessità di un ritorno alla leva militare obbligatoria se avessimo contezza di come vorremmo vivere? Per cosa, per avere altri eroi?
Enrica Colasanto