“Ma levateme na curiosità, ma che cazzo ve siete magnati…”. Questa, forse, la battuta più fulminante del film “Le vacanze intelligenti”. A dire il vero, si tratta di un episodio del film “Dove vai in vacanza?”. E precisamente il terzo, diretto e interpretato da Alberto Sordi e quella che è diventata, nell’immaginario collettivo, la compagna ideale, Augusta, lo status simbol della donna moglie, mamma, casalinga lavoratrice e fedele compagna del lavoratore medio anni ‘70, in questo caso un fruttarolo, Pur in presenza di un film che vuole divertire, come spesso accadeva in quegli anni, sotto mentite spoglie, si celava il ritratto della vita vera, rispetto ad un determinato stereotipo di persona. Fu così per Fantozzi, dove, grottescamente, si prendeva in giro la classe dirigente di quel periodo e la subalternità dell’impiegato a tale potere. Così è anche in questo film, formato, come detto, da tre episodi indipendenti uno dall’altro. Nell’ultimo, appunto, c’è l’odissea di due umili fruttivendoli a cui i figli, tutti istruiti, hanno programmato la vacanza intelligente. Il film prende in giro in maniera feroce tutto quello che non è la classica vacanza nazional popolare, quella della moltitudine, in quegli anni, dove le ferie culturali erano la scelta di pochi e dove la spiaggia, il sapore di mare, l’ombrellone piantato a mano, le grandi abbuffate, erano quel che ci si aspettava dalla classe media italiana. Il film è un crescendo di questa presa in giro. Si va dalla Biennale di Venezia dove gli svampiti Remo e Augusta sono costretti a vedere le opere avanguardiste, rese, volutamente, poco fruibili. Da un semplice paio di occhiali piantato in un muro, a delle pecore vive segnate sul vello da uno spruzzo di vernice, a degli imbuti piantati nel terreno che fanno esclamare ad Augusta: “Pur’io ì metto così quanno spiccio à cucina” e altre affermazioni del genere durante la visita, mentre, in sottofondo, si sente la spiegazione delle opere da parte dell’esperto, che raccoglie le approvazioni dei turisti snob, vero bersaglio di Sordi. I dialoghi borgatari come contraltare a questo brusio di esperti ed esponenti della borghesia intellettuale o presunta tale. Simbolica e devastante la scena in cui Augusta si stravacca su una sedia e gli astanti che passano la scambiano per una installazione e cominciano a discutere su cosa fosse, addirittura dandogli un prezzo. Quando arriva il buon Remo, con bibita fresca, l’esclamazione è fantastica: “E porca mignotta, ma che vonno questi? Io me stavo a riposà…”. Remo si affretta a dire: “È la mia signora” mentre l’aiuta a sollevarsi dallo scranno. Ce stava uno che me voleva pagà 18 milioni”. Fin quando, dopo tanti sacrifici per accontentare i figli, seguendo scrupolosamente il programma, non si imbattono, per caso, nella figlia maggiore che fa finta di non vederli. Allora? beh allora scatta la vendetta, quella che i digiuni forzati e le visite a musei, concerti improbabili, tombe etrusche, avevano fatto montare. “S’è vergognata de noi e mo se vendicamo, ma a modo nostro”. La scena in trattoria, dove il trionfo delle pappardelle ar sugo de lepre e le salsicce con fagioli sono ancora messi a confronto con i piatti semivuoti (due olive, un sedano) simbolo dello snobismo della classe altolocata che, seduta di fianco ai due burini, impersonata da sagome smunte, pallide e malaticce, si interrogava anche sul loro modo di parlare, non comprendendolo. Anche qui Sordi continua nella presa in giro, stavolta, dopo la cultura, usando la tavola, contrapponendo i piatti popolani e saporiti ai pinzimoni. Simbolicamente, la differenza di ceto sociale. Ma il tanto gusto e l’ingordigia nello strafogarsi qualsiasi cosa, nel riempirsi la bocca fino al limite, alla fine coinvolgono anche i più snob che cominciano ad ordinare pappardelle e fagioli con salsicce fino ad esclamare: “A quei due dovrebbero fargli un monumento”. In questa sequenza Sordi sembra voler dire: “Alla fine siamo tutti uguali”. Scena successiva quella nell’incipit di questo articolo. Ospedale e Augusta sottoposta a lavanda gastrica con medico che esclama quella frase: “Ma che cazzo ve siete magnati”. E Remo: “Tutto se semo magnati, tutto er ristorante. È na vendetta, è na vendetta. Augù, come te senti?”. “M’è rivenuta fame”. “Zitta nun te fa sentì”. In quegli anni i film ad episodi erano la consuetudine, spesso divisi tra due o tre attori protagonisti. Alcuni erano leggeri, figli, appunto, di quell’epoca, mentre altri, grottescamente, volevano irridere le classi sociali, dalle più alte alle più popolari, che però erano la spina dorsale dell’Italia di allora. Sordi fa questo e nessuno meglio di lui ha saputo incarnare, con delle facce e delle maschere che erano più vere di quelle vere, il popolano, l’umile. La bocca piena di pappardelle, col sugo che cola sul mento, non è recitare, è essere quella roba lì, un fruttarolo in vacanza.
Carlo Marrazza