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CISCO, CANZONI DALLA SOFFITTA

CISCO: “Ho visto il mondo e riportato tutto a casa”. CANZONI DALLA SOFFITTA, il nuovo progetto discografico del cantautore emiliano.

Stefano Bellotti, in arte Cisco è un cantautore italiano di musica folk rock che non ha bisogno di presentazioni: nel 1992 entra a far parte di una band appena formatasi, i Modena City Ramblers, e ci rimane fino al finire del 2005, collezionando oltre 1.200 date in Italia e in Europa e vendendo circa un milione di dischi. Uscito lo scorso 29 ottobre, Canzoni dalla soffitta è un album che nasce dai rapporti con gli altri nel momento esatto in cui l’idea stessa del contatto con le persone è stata messa in discussione. In questo nuovo progetto discografico ci sono gli amici di sempre, la voglia di parlare alle nuove generazioni, raccontando loro di chi ci ha lasciato e, allo stesso tempo, scavare a fondo nella storia musicale del suo autore, a trent’anni di distanza da quel febbraio 1992 in cui salì per la prima volta sul palco con i Modena City Ramblers. I mesi chiusi in casa per proteggere sé stessi e gli altri da una situazione, quella pandemica, così nuova e al contempo peculiare, per Cisco sono coincisi con le giornate passate in soffitta. Quei momenti in cui era impossibile non riflettere sul proprio quotidiano hanno alimentato la necessità di raccontare, di creare per andare oltre le chiusure. All’interno di questo rifugio Cisco scrive, suona e compone, dando vita a due progetti, uno di inediti con dodici canzoni che vantano la collaborazione di Simone Cristicchi, Dan Chiorboli, Tamani Mbeya e Phil Manzanera. L’altro è un album di live, intitolato Live dalla soffitta con altrettanti brani estratti da uno zaino musicale carico di tre decenni di concerti in giro per l’Italia e il mondo.

Riportando tutto a casa è una canzone da lei definita come “la più nostalgica mai scritta” e s’intitola, tra l’altro, come l’album d’esordio dei MCR. Ce ne parli…

“Riportando tutto a casa racconta il passato musicale, tra virgolette glorioso, di un uomo alla soglia dei suoi 30 anni di carriera. Durante la pandemia, rinchiuso nella mia soffitta, ho ritrovato vecchi ritagli di giornale, foto, manifesti e ho voluto dedicare una canzone ai 15 anni passati insieme ai MCR, durante i quali abbiamo girato mezzo mondo, scritto canzoni e inciso dischi. Ho voluto dare a questa storia un titolo importante, riprendendo appunto il titolo del nostro primo disco. In più ho voluto sottolineare il sound di quel periodo, lo stile che ha caratterizzato i nostri album d’esordio. Ho chiesto quindi al flautista dei MCR, Franco D’Aniello, di partecipare al brano, conferendogli quel tipico sapore Irish. È un brano in questo senso molto nostalgico”.

Ci parli di Lucho, brano dedicato a Luis Sepulveda, lo scrittore cileno scomparso nel 2020.

“Il brano racconta quello che ha significato Sepulveda nella mia vita, avendo avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo. Il titolo è scritto in spagnolo con la ch perché a lui piaceva farsi chiamare così, era il suo nomignolo e sinonimo di lotta (era un lottatore). Sono stato a casa sua nelle Asturie, nel nord della Spagna, e sono stato accolto da lui come un fratello. Ci ha insegnato a vedere il mondo con altri occhi. Quando l’abbiamo conosciuto eravamo dei ragazzotti emiliani che adoravano l’Irlanda. Lui ci ha aperto la mente e il cuore, ci ha fatto vedere un mondo intero fatto di orizzonti diversi, colori diversi, suoni diversi. Abbiamo collaborato con lui, abbiamo scritto canzoni insieme, lui ci ha lasciato la sua opera ma a noi viene a mancare la persona, l’uomo, un amico che adesso non c’è più”.

Il disco contiene due traduzioni: Il fantasma di Tom Joad – traduzione del brano di Bruce Springsteen realizzata da cantautore bolognese Luca Taddia. E Fiori morti – traduzione del brano dei Rolling Stones, Dead Flowers, inserita per omaggiare Charlie Watts. Ci parli della scelta di questi due brani.

Il fantasma di Tom Joad, è stata una scelta mirata. Lo reputo uno dei brani più belli del Boss e forse uno dei più belli in assoluto. È una canzone di una forza incredibile, con la sua semplicità arriva nel profondo e ti sconvolge. Springsteen prende spunto dal meraviglioso Furore di John Steinbeck ed è una canzone di un’attualità disarmante. L’altra canzone, Fiori morti, è un brano al quale ho lavorato insieme a Giovanni Rubiani qualche anno fa. La canzone era rimasta nel limbo, quindi ho voluto inserirla in chiusura del disco anche per darle una forma. Non è certo uno dei pezzi più famosi dei Rolling Stones ma è un brano che mi ha sempre incuriosito e ho voluto farne una versione italiana sulla scia di quella di Townes Van Zandt, dandole uno stile Folk, quasi Country”.

Nel disco c’è la voglia di parlare alle nuove generazioni, che messaggio vuole dare ai giovani di oggi?

“Penso sempre ai miei 5 figli, penso che sia giusto crescerli e accompagnarli nella vita ma ad un certo punto bisogna lasciali andare e farli camminare con le loro gambe, dando loro gli strumenti per farlo ma anche la possibilità di sbagliare purché siano gli errori loro e non i nostri. Nel disco ci sono un paio di canzoni dedicate ai giovani, una di queste è Leonard Nimoy che, prendendo spunto dalla figura del famoso attore che interpretava Spock in Star Trek, dice Tieni le orecchie alte Leonard Nimoy perché i costumi li hanno sia i pagliacci che gli eroi. Questo è un bel messaggio da dare alle nuove generazioni, soprattutto in questi tempi”.

Mariangela Maio

Leggi la copia digitale de Il Commendatore Magazine.

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