Da Roccadaspide arrivano le istruzioni per costruire un mondo migliore.
Ho letto una lettera tempo fa, una lettera che non è fatta soltanto di parole, ma anche di mani tese verso i destinatari e anche verso tutti noi, figli di una realtà che di gesti così ne vede ben pochi, quando va bene, perché se va male le frasi sono diverse, più acute e più stridenti, e di certo non parlano di perdono bensì di rancore. La missiva in questione è quella dei genitori del ragazzo quindicenne accoltellato a Roccadaspide da un suo coetaneo. Una vicenda triste, una rissa tra adolescenti che prende una piega ancora più brutta di quella che stava già avendo. Una storia, però, che ha un lieto fine, anzi due: il primo è che il ragazzo che ha subito il danno sta bene e si riprenderà. Il secondo, invece, sta tutto nell’umanità di una famiglia che, invece di sbraitare e mandarle a dire, fa quello cui raramente siamo abituati a fare quando qualcuno ci fa un torto, cioè perdonare. E lo fa con delle parole che sono, quelle sì, una coltellata, un fendente che non ferisce, ma taglia di netto la patina di rabbia in cui siamo avvolti, da Nord a Sud. Infatti, mentre le persone insorgono nelle città e milioni di spettatori nel mondo sono incollati allo schermo davanti ad una serie tv che vuole mostrarci il disvalore dato all’esistenza degli ultimi, da un Paese arriva la lezione migliore e un accenno di speranza. Arrivano le parole “smarrimento” e “debolezza” a sostituire quelle di “colpa” e “violenza”, a ricordarci che siamo tutti fragili e che tutti possiamo cadere. A sottolineare il bisogno che abbiamo di “vicinanza” e “solidarietà” quando sbagliamo, soprattutto quando sbagliamo. L’ho letta e riletta quella lettera. Perché è lì che ci sono le istruzioni per costruire un mondo migliore. Certo, poteva anche andare peggio. Per esempio, peggio sarebbe andata se quella lettera non l’avessero scritta. Se non l’avesse scritta quella Famiglia. Lì, a Roccadaspide.
Pasquale Quaglia
Per approfondimenti, inchieste ed opinioni, clicca sulla scritta in basso.