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DALLA VIOLENZA DI GENERE AL FEMMINICIDIO

(La Panchina Rossa, inaugurata a Giffoni Valle Piana, simbolo del rifiuto della violenza sulle donne).

Il femminicidio della giovane Giulia Cecchettin ha colpito molto i cuori ed i sentimenti di noi tutti, ed ha ulteriormente amplificato una escalation che ormai cresce oltremodo nel nostro Paese. Le parole del padre di Giulia inducono ad una attenta riflessione: “L’amore vero non urla, non picchia, non uccide”, parole da sottoscrivere, ma che portano a richiamare in causa le nostre famiglie, la scuola, gli educatori, i media, insomma tutti coloro che sono impegnati nella crescita dei soggetti in età evolutiva, bambini, adolescenti, giovani. La sfida è culturale. Punto. Si è sempre asserito che il dominio maschile sulle donne fosse la più antica e persistente forma di oppressione presente e, a questo punto, futura. Infatti, in Italia, gli omicidi volontari di cui sono state vittime le donne sono stati commessi quasi sempre in ambito familiare. Che cosa s’intende per femminicidio? “Ogni pratica sociale violenta fisicamente o psicologicamente, che attenta all’integrità, allo  sviluppo psicofisico, alla salute, alla libertà o alla vita delle donne, col fine di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla sottomissione o alla morte della vittima nei casi peggiori. Violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale rivolta contro la donna, in quanto donna, perché non rispetta il ruolo sociale impostole”. L’uccisione della donna è l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere socio-economico e psico-fisico. Non a caso, è stato stimato che nel corso della propria vita quasi una donna su tre abbia subìto una forma di violenza fisica o sessuale. La violenza e il femminicidio sono fatti globali, nel senso che avvengono a prescindere dall’età, dalla classe sociale, dalla cultura, dalla religione, dalla nazione di appartenenza. Purtroppo esiste un numero sommerso di donne che non denunciano e non si rivolgono nemmeno ai servizi sociali per svariate ragioni. Perché chi subisce violenza resta insieme al proprio aguzzino o non lo denuncia? Le motivazioni sono multifattoriali e concernono retaggi socio-culturali dovuti alla famiglia patriarcale in cui i ruoli di uomo/donna erano ben distinti, nonché caratterizzati da sottomissione femminile. Aggiungiamo la prossimità affettiva con chi compie violenza, la mancanza d’indipendenza economica, le motivazioni religiose o più semplicemente la paura o l’illusoria speranza che un giorno la situazione cambierà. Una vittima italiana su tre ha dichiarato che il personale sanitario in ospedale ha minimizzato o non raccolto la testimonianza di violenza subita. La quota scende a meno di una su cinque nel caso delle vittime straniere. Quale ruolo assumono le istituzioni? La denuncia, l’arresto, l’ordine di allontanamento non garantiscono l’incolumità femminile, anche a causa dei tempi lenti della giustizia. È evidente che, in questo campo, ci sono carenze da colmare. Quali sono gli strumenti in favore delle donne vittime di abusi? Il numero antiviolenza 1522; i centri e le case rifugio, i centri di ascolto per maltrattamento. Non dimentichiamo la scarsità di fondi per mantenere o ampliare queste strutture, in vista delle molteplici richieste di aiuto. La prevenzione primaria gioca un ruolo fondamentale, agendo sulla radice della violenza, per creare un ambiente sociale paritario; è necessario partire dall’informazione nelle scuole e nelle università per un’efficace sensibilizzazione. Occorre che noi adulti abituiamo al rispetto delle donne, alla cultura della vita, all’ascolto e alla cura dell’altro, alla rinuncia del sé ed al rifiuto incondizionato della sopraffazione. Aiutare a respingere e condannare non solo i gesti di violenza più espliciti, ma anche quelli apparentemente meno significativi e pure rivelatori di comportamenti sbagliati. L’amore, come ricorda Erich Fromm, è figlio della libertà e giammai del dominio, mai privarsi del diritto più grande, il diritto alla vita, alla felicità, il diritto al futuro.

Luigi Bernabò

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