Caramelle per menti fragili.
I social media sono ormai parte integrante delle nostre vite, così attraenti e gratificanti finché le vite degli altri non diventano promemoria di infelicità ed insoddisfazione personale. La maggior parte di ciò che viene mostrato sui social rappresenta una parte spesso edulcorata di vita, celando fragilità e debolezze umane e mostrando una perfezione fittizia a cui l’uomo ambisce da sempre con scarsi risultati. Individui insicuri fanno un utilizzo dei social psicologicamente distruttivo, spinti da un’incessante curiosità di osservare le vite altrui che causerà loro un forte senso di inferiorità ed angoscia in quanto ciò a cui si ambisce spesso non è reale ed anche se lo fosse, osservare da lontano non è la strada per il conseguimento di nessun obiettivo. Perché sentiamo il bisogno di mostrare che facciamo meglio di altri anziché focalizzarci sul fare davvero il meglio per noi stessi? Per un uso psicologicamente adattivo dei social network bisognerebbe trarre solo il buono da ciò che si vede, fare un’autovalutazione di noi stessi e puntare sul proprio miglioramento, lodando ciò in cui è riuscito l’altro anziché sminuirlo solo perché non siamo stati in grado di fare altrettanto. L’unicità individuale risiede nella diversità, i limiti vengono autoimposti solo da noi stessi, ne deriva quindi che gran parte della nostra insoddisfazione dipenda anche da noi stessi. I social media ci rendono osservatori critici di vite che non ci appartengono ma è solo cambiando il nostro approccio ai social che cambierà l’effetto dei social su noi stessi, sulla nostra vita e sulla nostra psiche. Prendiamo ad esempio il “like” partendo dall’assunto che l’unico consenso, l’unico apprezzamento o approvazione che dobbiamo ottenere è il nostro, l’autostima si conquista attraverso le esperienze personali, non ci viene donata da altri, conquistatela, custoditela, essa sarà il vostro primo scudo contro l’infelicità. Non dimentichiamo mai che il modo in cui trattiamo noi stessi stabilisce lo standard per gli altri, quindi amiamoci, rispettiamoci e postiamo quello che più ci piace o i pensieri che più condividiamo, d’altronde non saremo mai esenti dal giudizio altrui, allora è solo lavorando sulla fiducia in sé stessi che potremo illuminare la nostra prospettiva. Non dobbiamo permettere alle percezioni limitate degli altri di definire chi siamo. La dipendenza dai social media e dal cellulare (Nomofobia) è ormai sempre più diffusa, la depressione, l’ansia e l’isolamento sociale sono i principali effetti ad essa correlati. Alla Nomofobia è associato inoltre un rallentamento del pensiero, delle funzioni cognitive con conseguente tristezza vitale e pensiero pigro. Lo IAD (internet addiction disorder) rientra ufficialmente nel panorama mondiale delle nuove malattie del nostro secolo. La nomofobia è una condizione di forte paura dovuta dall’impossibilità, seppur momentanea dell’utilizzo del telefono, la definizione deriva da uno studio condotto in Gran Bretagna, che ha rilevato che più della metà degli utenti che usano il cellulare tendono a mostrare uno stato ansioso quando lo perdono o quando appunto diventa fuori uso (un 58% degli uomini contro un 48% delle donne). Colpisce maggiormente i giovani, specie coloro che tendono ad avere bassa autostima e problemi relazionali. L’elemento scatenante dell’infelicità causata dai social e dalla dipendenza dal cellulare risiede nell’errata convinzione che le vite altrui siano più interessanti della propria ma se invece di focalizzarvi sull’invidia che vi suscita ciò che vedete vi focalizzaste su di voi, su cosa vi piace della felicità altrui, su cosa lavorare per essere voi felici, a quel punto le vite degli altri sarebbero per voi promemoria costruttivi, promemoria di felicità non di insicurezza ed insoddisfazione. Promuoviamo la condivisione costruttiva e contrastiamo la dipendenza dalle vite altrui imparando a concentrarci sulla propria. I risultati saranno più appaganti del vivere solo a metà.
Ludovica Emanuela Liccardi
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