Donne e politica, un binomio che, soprattutto in riferimento alla parità di genere nelle istituzioni, oggi più di ieri, assurge a elemento cardine del dibattito internazionale. Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito all’ascesa del gentil sesso nel panorama politico, fenomeno, questo, in grado di soppiantare la credenza alla stregua della quale la politica fosse elemento ad esclusivo appannaggio degli uomini. In ambito nazionale, infatti, a partire dagli anni duemila, quando il numero di donne parlamentari faticava a raggiungere il 10%, si è registrata una costante crescita di deputate e senatrici, fino a raggiungere oltre il 30% nell’attuale legislatura. Dalla prima donna eletta, Nilde Iotti, alla carica di parlamentare, il numero, tra deputate e senatrici, è salito a 339 (112 al Senato, 227 alla Camera). Scendendo i gradini della piramide amministrativa è possibile constatare, soprattutto negli enti comunali, un ulteriore incremento delle sindache (più del 15% dei comuni italiani sono amministrati da donne) e delle amministratici non di vertice. La crescita maggiore è stata registrata nelle regioni meridionali, Campania in testa (+1185%). L’Emilia-Romagna è la regione più virtuosa in merito alla partecipazione politica delle donne in ambito comunale (il 38% dei consiglieri comunali è donna). Volàno di tale affermazione sono state le importanti misure idonee ad aumentare la rappresentanza femminile, difatti, in Italia sono state introdotte nelle elezioni amministrative le quote di genere e la doppia preferenza di genere, ovvero la possibilità di votare una donna e un uomo nella scheda elettorale. In vigore dal 2013, secondo un recente studio le misure hanno avuto effetto sulla composizione delle amministrazioni locali, aumentando di circa 18 punti percentuali la rappresentanza femminile nei consigli comunali. Ciononostante, però, la parità di genere non è stata raggiunta nella sua totalità, soprattutto in termini di leadership. Sono numerosi, infatti, gli ostacoli da superare nel processo politico di selezione ed elezione. In primis, rileva l’esiguo numero di figure modello a cui ispirarsi tale da far scemare l’interesse femminile in merito ad un’eventuale carriera politica. In seconda battuta, le stesse, potrebbero arenarsi in basse aspettative di successo, proclivi a minare ulteriormente la partecipazione, nel lungo periodo, alla vita politica. Altro – solo all’apparenza banale – motivo che potrebbe limitare una buona parte delle donne è la mancanza di tempo, poiché più impegnate nella gestione domestica e nella propria occupazione lavorativa. Una possibile soluzione al problema potrebbe essere quella fornita dalla politologa Rainbow Murray: “Una strada da seguire è quella di non presentare il problema come una carenza di rappresentanza femminile, quanto piuttosto come un’eccessiva rappresentanza maschile. Le policy da introdurre sarebbero quindi sì delle quote di genere, ma molto diverse da quelle in uso attualmente. Infatti, la prospettiva sarebbe rovesciata, con le quote di genere non da intendersi come un numero minimo di posti destinati ai rappresentanti di un sesso, ma al contrario, come un limite massimo. Tale cambiamento di paradigma potrebbe finalmente permettere di non percepire più le donne in politica come una sorta di minoranza da proteggere mediante quote minime, ma come una componente fondamentale della società con lo stesso diritto a partecipare alla vita politica della controparte maschile”.
Mattia Tarallo