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DRACULA DI BRAM STOKER DA PAGINE DI DIARIO SEPOLCRALI

Non serve riordinare la libreria, incappare in rapidissime pubblicità o scorrere post sui social. Dracula di Bram Stoker è un romanzo, un film, che una volta conosciuti, diventa impossibile condannarli alla damnatio memoriae; impossibile con la più lunga distanza temporale dalla conoscenza effettiva avvenuta, sbiadire. La forza estetica delle immagini e la ricchezza complessa del mondo “perduto” (o forse), “sospeso”, nei meandri più abissali della nostra mente, tra simboli, valori, controvalori in uno scenario storico e cavalleresco, appaiono nei momenti più impensabili della nostra vita, eletti a martiri della eterna NON-MORTE o MORTE VIVENTE. Diventano nella trasposizione emotivo-sensoriale un fiume che scorre di desideri e paure nel quale abbandonarci e lasciarci fino al crocevia di correnti impetuose. S’impongono come fossero pagine del nostro diario. Ci dovremmo chiedere come faccia, un racconto dell’oblio, figlio del Male, a diventare il motore pulsante dell’attrazione universale dalla sua creazione. Ad imperare nel suo genere (che è multiplo, come Draculia stesso) e a riprodursi fino all’esaurimento del riconoscimento parentale dei suoi figli. «Il sangue è la vita!»  grida, al cielo chiuso dalle sbarre, l’adepto Renfield. Il Conte, quando con un latrato terrificante impugna la spada alla gola di Jonathan Harker (che aveva discretamente ironizzato sull’insuccesso delle Crociate), urla «Non è argomento da ridere! Noi, Dracula ne siamo fieri! Quale diavolo fu grande quanto Attila, il cui sangue scorre in queste vene!…Il sangue…Il sangue (risatina diabolica e taglio sulla propria mano) è una cosa preziosa di questi tempi. I giorni delle battaglie sono lontani; le glorie della mia stirpe sono ormai racconti da narrare (lancia la spada sul tavolo). Io sono l’ultimo della mia specie». Dracula rappresenta l’origine e la fine apparente o non-fine delle nostre vite e il sangue ne è l’immortale prosecuzione: il riconoscimento dell’essere, dell’appartenenza, dell’identità, l’unico vero legame che ci unisce e allontana da questa terra.

Diario di M. Peluska, 14 giugno, Agropoli

Piove e sono stesa prima del sonno, mentre il rumore dell’acqua fitto culla sulle foglie e poi scroscia sui tetti battendoli. Il torpore musicato da una nenia casalinga mi spegne. La mente vede: rivede quei grandi occhi ghiaccio nel cielo e i miei si aprono in un lampo di luce e attrazione mentre parte alla memoria quella insistente picchiettatura carillonesca…Giro in un giro di giostra stregata nel giardino, e Mina e Lucy ridono e corrono bagnate e intanto la fotografia mi si appanna e la realtà oscilla e…Gli occhi ghiaccio diventano il cielo stesso che incombe, più scuro, più nero, su me, Lucy e Mina. Un vento gelido vibrante ci unisce, solleva e poi soffoca. Una risata magnetizza ogni cosa. L’ipnosi d’Assenzio, quella “fatina verde”, che scende e vuole solo la nostra anima, annega la mia stanza…Una palpitazione mi ha dato la buonanotte. Vampirizzata in tempi lontani, Dracula si sveglia dall’Eternità per far visita alle sue creature. E il tramonto non è il solo suo unico rintocco.

Rachele Siniscalchi Montereale

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