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ENNESIMA STRAGE NEL MEDITERRANEO

A seguito del reiterarsi di tragedie in mare, l’ultima di qualche giorno fa a Cutro, sulle coste calabresi, che hanno scosso le coscienze, molti Stati membri hanno in qualche modo manifestato una tendenziale inversione di tendenza, sull’onda di un provvisorio e temporaneo slancio di solidarietà. Ma l’attuazione pratica e concreta delle iniziative assunte in via emergenziale resta tuttora una sfida complessa, in quanto si colloca in un sistema che ha investito e continua ad investire molto di più sulla protezione delle frontiere che sulla protezione delle persone. È chiara del resto la volontà di insistere sulla predisposizione di una politica comune di salvaguardia dei confini piuttosto che sulla creazione di un sistema di accoglienza europeo. Esiste del resto una profonda tensione tra Stati membri e istituzioni europee nella gestione della crisi migratoria, tensione che sta mettendo a dura prova la tenuta stessa dell’Europa, che si trova confrontata, oggi più che mai, anche a seguito delle gravi conseguenze dovute alla recente crisi finanziaria, ad una crisi politica di straordinaria portata. Ad una “situazione di emergenza”, caratterizzata da un afflusso improvviso e massiccio di cittadini di Stati terzi, fa per la verità riferimento lo stesso Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, all’art. 78, che non chiarisce tuttavia esattamente il significato del termine “emergenza”, anche se un’interpretazione sistematica dell’art. 78 nel suo complesso lascia presupporre l’esistenza di una situazione davvero eccezionale, tale da permettere una deroga al sistema di Dublino, che in effetti non era stato immaginato per far fronte a condizioni di “emergenza permanente e su larga scala”. E di qui la necessità impellente di una profonda revisione di questa disciplina, senza tuttavia negare a priori l’opportunità di un meccanismo di ripartizione tra gli Stati europei. Come è noto, il controverso sistema di Dublino prevede una serie di criteri oggettivi per l’individuazione di un unico Stato membro competente all’esame di una domanda di protezione internazionale sul territorio europeo. I limiti di questo meccanismo, finalizzato a garantire l’accesso effettivo ed equo alle procedure e, contestualmente, a prevenire il fenomeno della presentazione di domande di protezione multiple, sono senz’altro riconducibili alla perdurante assenza di un adeguato livello di armonizzazione dei sistemi nazionali di accoglienza e di accesso alla protezione in ambito europeo. In un simile quadro di riferimento, l’attuale versione del regolamento di Dublino, all’art. 33, prevede un meccanismo di allerta rapida, con l’obiettivo di garantire una gestione condivisa delle situazioni di crisi, attraverso un sostegno incisivo da parte delle istituzioni a quegli Stati che si fossero trovati in difficoltà nel gestire l’accoglienza di flussi migratori massicci ed imprevisti di persone in cerca di protezione in Europa. Questo meccanismo di allerta rapida sembra degno di particolare attenzione, in quanto esso si fonda su quei principi di mutuo sostegno, solidarietà e condivisione delle responsabilità che sono alla base, anche se in termini più generali, proprio dell’art. 78. Il meccanismo di allerta rapida, per funzionare correttamente, avrebbe peraltro presupposto un dialogo ed una collaborazione costanti tra Stati membri e tra Stati e istituzioni europee; esso non ha tuttavia mai trovato attuazione in concreto, proprio per l’impossibilità di addivenire ad una condivisione reale di intenti e modalità operative tra i vari attori coinvolti, l’art. 33 è di conseguenza sostanzialmente rimasto lettera morta. Il fenomeno migratorio richiede evidentemente uno sforzo di gestione sinergica e coordinata, da parte dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, su più fronti, come la previsione di una serie di interventi nell’ambito della cooperazione con i Paesi terzi di origine e di transito dei flussi, al fine di intervenire alla radice dei movimenti migratori e sulle loro cause fondamentali, da un lato e la gestione dei flussi migratori in arrivo, con particolare riferimento ai grandi temi del soccorso in mare, della previsione di canali alternativi all’ingresso nell’Unione Europea e del controllo alle frontiere esterne, che si sta realizzando, in modo piuttosto problematico, attraverso l’intensificazione della cooperazione con alcuni Stati, quali la Turchia, la Libia, la Giordania, il Libano, dall’altro lato. Il Mediterraneo come luogo di incontro e insieme spazio di frontiera rappresenta un’occasione di riflessione sul rapporto tra identità e migrazione nell’ambito di contesti particolarmente complessi, quali i territori di confine, drammaticamente in presenza di situazioni delicate, da cui emerge la difficoltà di garantire l’esercizio di diritti collettivi come mezzo per preservare le caratteristiche identitarie di gruppi di minoranza, in virtù del principio di uguaglianza e non discriminazione. Non ci sono soluzioni pronte, ma questa è la vera sfida dell’Europa, che deve riuscire a conciliare gli obiettivi degli Stati membri con quelli dell’Unione Europea, ricomponendo le tensioni esistenti tra le esigenze di controllo e quelle di accoglienza, per ritrovare se stessa e aspirare ad una sua precisa identità.

Luigi Bernabò

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