La struttura, che si trova a Materdei, nel quartiere storico della città di Napoli, nasce nel 1572 come monastero con il nome di “Sant’Eframo nuovo” e venne eretto come insediamento dell’ordine francescano. Data la sua immensa grandezza, fu costruito per diventare la sede principale dei frati cappuccini, tuttavia poi così non fu e la struttura imponente rimase per così dire sprecata. Nel 1661 divenne ufficialmente una grandissima chiesa fino alla seconda metà dell’Ottocento, dal momento che nel 1840 un grave incendio distrusse tutto l’edificio, restaurato soltanto un anno più tardi grazie al re Ferdinando II. Vent’anni più tardi, l’abbazia fu soppressa e adattata a caserma. Nel napoletano tuttavia l’immagine e il ricordo di quello che era stato un grande monastero sono andati piano piano a scomparire poiché l’edificio, nei giorni nostri, viene ricordato per le atrocità del Novecento, secolo in cui divenne un vero e proprio manicomio criminale.
Le urla dei pazienti e i terribili metodi utilizzati dai medici dell’epoca hanno lasciato un’immagine tanto negativa del luogo che questo fu infine destinato al totale abbandono fino al 2008, anno della sua chiusura ufficiale. La situazione poi è totalmente cambiata nel marzo 2015, quando un gruppo di studenti universitari del CAU ha occupato la struttura con l’intento di recuperarla. Appena entrati nell’edificio, la situazione era surreale raccontano i ragazzi: “Sembrava di essere in un girone dell’Inferno, celle di pochi metri, sbarre ad ogni corridoio e scarpe accatastate come nei campi di concentramento”. Dopo cinque anni, l’edificio si presenta come vero e proprio centro sociale grazie al progetto “Je So Pazzo”, che ha la finalità di rifunzionalizzare socialmente un luogo che rappresenta la coercizione spietata del potere contro i deboli.
Oggi, è possibile visitare il luogo sia per partecipare ai tanti progetti organizzati dai ragazzi, sia per guardare con i propri occhi i ricordi di un passato che non deve essere dimenticato.
Fernando Giordano
