La massa in chilogrammi, in gradi Celsius la temperatura, in ampere l’intensità della corrente elettrica, in applausi la bravura di un comico, in discorsi audaci l’ubriachezza, in fallimenti la forza: così misuriamo qualità e fenomeni che ci circondano. Ma come si quantifica, ad esempio, l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di sé stesso, la cosiddetta autostima? Studi di psicologia e neuroscienze descrivono le eventuali condizioni psicofisiche di chi gode di autostima, ma l’unità di misura che sembra indirettamente esprimere la grandezza della self-esteem di una persona è il numero dei likes (pollice in su come segno di apprezzamento su Facebook, cuoricino di gradimento su Instagram). L’approvazione sociale passa per l’approvazione social. È Mark Zuckerberg che certifica quanto la nostra immagine sia gradita, quanto sia interessante la nostra vita, quanto siamo desiderabili, quanto valiamo e quanto contiamo. Parlando di storia dell’autostima (o meglio dei suoi archetipi) non può non venire alla mente l’estimatore di sé stesso per eccellenza: Narciso. Come racconta Ovidio nella sua versione del mito, Narciso, figlio della divinità fluviale Cefiso e della ninfa Liriope, insensibile all’amore di coloro che, numerosissimi, si invaghivano di lui, fu punito, per i suoi crudeli rifiuti, dalla dea giustiziera Nemesi che lo fece innamorare della propria immagine riflessa in una fonte. Morì di vana passione Narciso, quando, accortosi che l’immagine riflessa apparteneva a sé stesso, si consumò nella consapevolezza che mai avrebbe potuto godere di quell’amore, il proprio. Dal mito di Narciso deriva il termine narcisismo, utilizzato in sessuologia per indicare un atteggiamento patologico nell’ambito della vita sessuale per cui il soggetto gode nell’ammirare il proprio corpo. Dal punto di vista psicologico, il narcisismo (come l’enciclopedia Treccani suggerisce) consiste nell’atteggiamento di chi fa della propria persona il centro esclusivo e preminente del proprio interesse e l’oggetto di una compiaciuta ammirazione, mentre resta più o meno indifferente agli altri, di cui ignora o disprezza il valore e le opere. In psichiatria è indicato come un disturbo della personalità che implica l’esagerazione dei propri talenti, il desiderio di successo illimitato, la manifestazione di un bisogno quasi esibizionistico di attenzione e di ammirazione che per essere appagato prevede anche l’indifferenza verso le altrui condizioni o addirittura lo sfruttamento dell’altrui disponibilità. Il narcisismo quindi, a partire dal mito e nelle sue accezioni psicologiche, non ha nulla di così moralmente edificante. Eppure, se confrontato con il legame esistente tra autostima individuale e numero di likes beccati per la foto che ci ritrae in ghingheri mentre ci divertiamo con amici ad un party esclusivo, ci appare quasi un modo di essere auspicabile. Narciso non aveva bisogno di nessun mi piace per piacersi ed amarsi e la fonte in cui si rifletteva la sua immagine non era dotata di nessun filtro bellezza, non ingrandiva le labbra, né limava gli zigomi. Il concetto di autostima (αυτός in greco significa “egli stesso”) è molto più pregnante nel caso mitico di Narciso che in quello del profilo Instagram di Cristiano Ronaldo (237 milioni di followers). Un po’ di sano culto di sé appare di gran lunga preferibile alla strenua ricerca di visualizzazioni e consenso. Quella davvero gratificante e appagante dovrebbe essere una immagine, quella che noi stessi abbiamo di noi, non centomila, non 237 milioni in base a quanto sono aumentati i nostri followers. Sarebbe bello che tra i filtri di Instagram ci fosse il filtro Narciso, un filtro che ci rispecchiasse, che ci facesse vedere come siamo e ci facesse piacere e amare noi stessi così, senza modifiche e distorsioni di sorta. Prendo il libro degli incantesimi, vediamo cosa si può fare.
Enrica Colasanto