Storicamente la sublimazione del cinema è la cerimonia della notte degli Oscar. Il vernissage patinato, in cui le Star di Hollywood e dintorni posano per i fotografi con i loro vestiti appositamente creati per l’evento. Dove tutto appare sospeso e scintillante, come una maschera che nasconde la vita reale, quella che ti dona l’illusione del mondo pieno di gente bella, senza problemi, felice, capace di donarti un sogno. Intendiamoci, di premi cinematografici ce ne sono altri, di fascino, di tradizione, di cultura forse anche superiore, ma diciamo che l’Oscar è, nell’immaginario collettivo, il Valhalla del cinema. Da poco si è conclusa l’edizione del 2023. Quello di cui voglio parlare in questo scritto è la differenza, per chi vi scrive abissale, in confronto agli anni ‘70 e dintorni. A quei tempi trovavi, nella sessione miglior film, nello stesso anno, pellicole come Rocky, Taxy Driver e Quinto potere a giocarsi la statuetta. O, in altro anno, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Barry Lindon, Lo Squalo e Qualcuno volò sul nido del cuculo. Altro anno, Io e Annie e Guerre Stellari. Kramer contro Kramer e Il Cacciatore. Se uno ci pensa, rapportandolo alla qualità dei film premiati in questo secolo, vengono i brividi. Taccio delle nomination per il miglior regista, dove si potevano “scornare” gente come Kubrik, Coppola, Friedkin e Altman e Michael Cimino. Nel tempo, la notte degli Oscar è divenuta una sorta di contentino alle Major. Quest’anno deve vincere questo e l’altro vediamo. Alcuni sono stati sfortunati. Prendiamo DiCaprio. Attore bravo. Vincitore dell’Oscar come miglior attore per Revenant, di Inarritu. Fatto bene per carità, ma il buon Leonardo aveva avuto performance di livello in pellicole come The wolf of Wall Street, o anche Shutter Island o il Grande Gatsby, o anche C’era una volta ad Hollywood, ma gli era stato sempre preferito un altro. Nell’unica circostanza in cui mi sento di essere d’accordo, su questa preferenza, è stata quando la statuetta è andata a Matthew McConaughey, con la devastante interpretazione in Dallas Buyers Club. Tutto questo per dire cosa: dalla difficoltà nello scegliere tra capolavori assoluti e attori incredibili, si è passati, negli anni, a scegliere il prodotto che doveva vincere in nome del politicamente corretto. Da Sorrentino, a Benigni, al regista orientale perchè si dà un segnale, alla patetica pantomima di Will Smith. Non è più il premio, ma quello che è intorno ad essere importante. Quando vedi quelle cose precotte, studiate a tavolino nei particolari, ti viene la nostalgia di quando era una cerimonia, mi si passi il termine perchè sempre di Hollywood si tratta, più asciutta, più vera, dove un imbarazzato Robert De Niro riceveva la statuetta asessuata per Raging Bull, o un Al Pacino proferiva a stento due parole per il suo Oscar in Scent of Woman. Ogni cosa è figlia dei suoi tempi e bisogna adattarsi, ma un po’ di sana nostalgia è concessa. Davvero poca roba, gli ultimi anni, come qualità collettiva. Quest’anno ho provato a vedere la miglior pellicola, che sapeva di compromesso e manifesto del volemose bene che semo tutti uguali. Film inguardabile, di cui evito il titolo perchè lungo e inutile, abbandonato dopo 7 minuti per manifesta idiosincrasia verso la recitazione da cani senza appello dei protagonisti. Un tempo, nemmeno lontano, c’erano Kusturica, Kiarostami, Kitano, quelli si andavano osannati svuotando le scorte di statuette, ma credo non ne abbiano vinto uno. Un cinema diverso, nei contenuti e nelle idee, che avrebbe dominato per merito e per abbagliante bellezza, non perché devi dare il premio all’immigrato o a quello di colore perché così si porta nell’epoca del non merito. I film li continueremo a vedere, magari qualche perla uscirà, ma la deriva è quella e ti toglie. Ah, in fondo, ricordando lo scorso anno, il miglior film straniero, Drive my car, è quella luce che non ti fa perdere la speranza. Bellissimo. A Roma, con una espressione molto simpatica si usa dire: “Se famo a chiusa” con un leggero riferimento a pratiche da letto. Beh, salvando il pensiero, che è sempre piacevole, si spera che la cerimonia più famosa del mondo, si apra al vero e al bello e non resti ancorata a quel che dicono dall’alto.
Carlo Marrazza