A leggere bene le dichiarazioni dei tanti imprenditori a corto di manodopera verrebbe da pensare che siamo tutti una manica di fannulloni. Per carità, se si prendesse il sottoscritto come esempio, uno che preferisce mettere in fila parole piuttosto che ore di lavoro, si potrebbe anche dargli ragione. Il punto, però, è che una rondine (in questo caso una Quaglia) non fa primavera e basterebbe alzare lo sguardo, anzi, al contrario, sarebbe sufficiente tenerlo fisso un po’ di più sui social per rendersi conto di quanti, tra i nostri contatti, rimboccate le maniche, se ne sono andati altrove, dalla Svizzera alla Francia, e non per cercare il Sacro Graal, ma per trovare la dignità lavorativa che qui, troppo spesso, scarseggia più dei lavoratori stessi. E se neanche questo è sufficiente a scalzare la cattiva abitudine di guardare sempre negli altri le nostre colpe, ci si potrebbe almeno affidare alle statistiche e a qualche voce autorevole, più che autoritaria. Ad esempio, quelle che dicono chiaramente che i laureati che lavorano in Italia sono tra i meno pagati d’Europa, oppure i dati dei sindacati della Sardegna, quando denunciano che più della metà delle vertenze nei confronti dei datori di lavoro provengono dai dipendenti stagionali. A queste si aggiungono le testimonianze, come quelle di Gianluigi Alessio, direttore dell’Istituto Alberghiero “Amerigo Vespucci” di Roma, che parla di offerte di lavoro ai suoi alunni per 300 euro al mese (10 euro al giorno, per rendere meglio l’idea), e di Mario Garruto, chef ventiduenne, che racconta la sua fuga all’Estero, a fare quello che qui farebbe per meno soldi e più fatica. E sia chiaro, non sono tutti così e ogni medaglia ha il suo rovescio: accanto agli imprenditori sconsiderati ve ne sono altri che gestiscono la propria ricchezza, materiale e umana, in maniera virtuosa, costretti a dimenarsi tra tasse, quelle sì, per niente agevoli e incoraggianti. Generalizzare, dunque, è un grave errore, e dare la colpa al reddito di cittadinanza che, tra le innumerevoli criticità, ha perlomeno il merito di far campare tutto l’anno chi era costretto a sudarsi la miseria soltanto in estate, manco si andasse in letargo, è l’errore di chi vuole ancora nascondersi dietro un dito piuttosto che passarsi la mano sulla coscienza. Quella che sembra non avere l’albergatore di Pietrasanta, passato agli onori della cronaca per l’invito «all’ippica» a chi, prima di accettare la sua proposta di lavoro, pone domande sullo stipendio, le ore di lavoro e il giorno libero, insomma a chi si informa sui propri diritti. Ma per carità, «siamo in emergenza», mette le mani avanti questo “moderno Olivetti”. E a uno così che vuoi rispondere? Niente, semplicemente niente. L’unica cosa da fare è andare nel suo albergo, oziare come un pascià e al momento del conto dire «no, guarda, siamo in emergenza, non parlarmi di soldi» e, senza troppe storie, consigliargli un buon cavallo su cui trottare. Menomale, però, che in giro qualche imprenditore “qualificato” c’è ancora. Qualcuno che l’arroganza sembra averla abolita da tempo. E a quanto pare, anche la schiavitù.
Pasquale Quaglia
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