È principio ormai sacrosanto quello secondo il quale due persone, una volta sposate, siano vincolate al rispetto di obblighi reciproci ampiamente espressi dall’art. 143 c.c. In realtà, la norma non parla solo di doveri, ma anche di diritti: “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”. Dal momento che esiste la possibilità per due persone di decidere di comune accordo di sposarsi, esiste anche la possibilità che quel sentimento che le abbia spinte a sposarsi venga meno in un secondo momento. Fortunatamente, tale eventualità è ammessa e riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico. Tuttavia, nel caso della separazione, se prendiamo in esame fatti concreti, risulta evidente come si dia una rilevanza maggiore ai “doveri” che devono essere adempiuti da entrambi i coniugi. E per quanto riguarda i “diritti”? Il diritto del singolo coniuge in caso di separazione si traduce in un “diritto al mantenimento”: l’assegno di mantenimento ha lo scopo di consentire al coniuge, che non possiede sufficienti mezzi economici, di conservare un tenore di vita, se non uguale, quanto meno simile a quello mantenuto in pendenza del matrimonio. Si tratta, però, di un diritto esclusivamente patrimoniale.
Ma può l’intero assetto di bisogni e di esigenze che sorgono in virtù di rapporti personali essere ridotto a questioni meramente economiche?
Nell’ambito di quelle che sono le relazioni interpersonali e familiari, sussistono innumerevoli problematiche di natura personale: casi di violenza domestica, reati di stalking o atti persecutori, casi di infedeltà, alterazione dei rapporti con i figli, soprattutto se minori, alterazione dello stato psico-fisico della persona del singolo coniuge e dei figli. Per garantire una tutela giuridica piena alla vicenda della separazione, non è sufficiente trattare il caso concreto come una questione di natura economica, ma bisogna affrontare la questione anche da un punto di vista sociale. Ed è proprio in quest’ottica che va inteso il diritto ad ottenere una separazione in tempi piuttosto brevi.
Quali sono i tempi necessari al conseguimento di una sentenza di separazione?
Se non ci sono questioni irrisolte tra i coniugi, è possibile ricorrere alla separazione consensuale con la quale si può ottenere la sentenza di separazione del giudice nel giro di un mese dal deposito del ricorso. Se, invece, ci sono delle questioni che i coniugi non riescono a risolvere, allora si dovrà ricorrere alla separazione giudiziale che richiede tempi più lunghi. Infatti, a partire dalla data di deposito del ricorso, la sentenza di separazione può essere pronunciata dal giudice anche dopo due anni. Questa tempistica, però, può variare anche in base al livello di conflittualità dei coniugi e agli innumerevoli rinvii disposti da parte dei giudici, costringendo i due coniugi ad ottenere una sentenza di separazione dopo ben dieci anni dalla effettiva separazione.
Ma com’è possibile che due coniugi, il cui matrimonio sia durato pochi mesi o pochi anni, siano costretti ad attendere un tempo addirittura maggiore rispetto all’effettiva durata del matrimonio?
Secondo il mio parere, questa situazione paradossale è da addebitare a due limiti posti dalla normativa vigente: il primo riguarda la carenza di tutela del diritto di ogni singola persona, in seguito alla cessazione del matrimonio, di potersi rifare una vita. Il secondo non è altro che la conseguenza del primo: l’attuale impossibilità per due coniugi di ottenere una sentenza di separazione in tempi rapidi. È dunque, auspicabile una riforma legislativa finalizzata sia a garantire maggiormente le esigenze personali del coniuge sia ad ottenere un sistema processuale che possa accelerare i tempi per una sentenza di separazione.
Valentina Cicatiello
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