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IL CINEMA E LE FERITE DEI BALCANI

In questa puntata, parliamo del cinema dei Balcani. Lo nomiamo così, per racchiudere la filmografia tradizionale che, in quella parte dell’emisfero, accompagna, da sempre, grandi registi, anche di nicchia, sconosciuti ai più, ma autori di capolavori assoluti. Riflettere sulla cultura balcanica non è mai facile. Il grottesco la fa da padrone, ma anche sfumature, ovviamente, della tradizione rom e bulgara. Molte pellicole si rifanno alla guerra dei Balcani, con affreschi di personaggi malinconici, incastonati in scenografie volutamente disarcionate, approssimative, decadenti, che dipingono l’uomo e le sue angosce, ma sempre con sprazzi di ironia e sorrisi accennati. Miroslav Terzic o Iris Elezi, di cui l’opera prima “The World”, suggestivo racconto di un posto senza tempo, il Caffè Bota, dove tutto sembra essersi fermato e dove i personaggi sono colti nel loro disperato tentativo di fuggire. Icone di questo filone cinematografico sono, ovviamente, Emir Kusturica e Radu Mihaileanu. Kusturica ha interpretato al meglio quello che è il significato della sua terra, non soffermandosi sulla miseria della guerra, che pure lo ha influenzato in alcuni film, ma anche capace di dare vita a “Gatto nero, gatto bianco” capolavoro assoluto del cinema, passatemi il termine, zingaresco. Un turbinio di personaggi che sono maschere di vita reale. Dal capo rom con i denti d’oro, che gira in una carrozzella a motore e che vede e rivede una sola scena di “Casablanca”, quella finale e la ripete fino all’ossessione, ridendo compiaciuto. Lo scenario è la campagna bulgara, dove si intrecciano storie, interrotte, all’improvviso, da fotogrammi che si incastonano perfettamente nel racconto. Almeno due scene cult (e ci manteniamo bassi). Lo sbarco, del ras della zona, su una Rolls Royce da una chiatta e in cui ascolta musica a tutto volume, sniffando cocaina da un crocifisso concavo, compiaciuto dalle sue accompagnatrici che cantano il ritornello della canzone “Pit Bull”. Assurda anche la sequenza del matrimonio organizzato in una baracca, con la pletora di invitati che portano regali di risulta. Matrimonio, inutile dirlo, sui generis, con la sposa incatenata alla sedia con le caviglie.

Radu Mihaileanu si spinge oltre. Autore di due pellicole devastanti per bellezza e simbologia. “Train de vie”, con questo gruppo di ebrei che costruisce un treno per sfuggire ai nazisti, facendo provviste, realizzando abiti del Reich per simulare una deportazione. Di una comicità delicata, con la scena finale che ti lascia senza fiato. Da vedere assolutamente. L’altro, “La polveriera”, è uno spaccato di vita, che sembra fatto ad episodi. Episodi che trovano la sublimazione finale, in cui si intrecciano in maniera naturale, con passati e presenti che dipanano la storia. Una precisione mirabile, personaggi incredibili. Ultima nota per “Il concerto”, film bellissimo, dove un’orchestra di improbabili musicisti, riesce a spacciarsi per la storica compagnia del Bolshoi, riuscendo a coinvolgere una grande violinista che, accortasi dell’inganno, invece di ritirarsi e smascherare tutto, riesce a produrre un assolo di Tchaikovsky che ti strappa le lacrime. Io non mi sono trattenuto, e non lo farete nemmeno voi. Alla prossima gente.

Carlo Marrazza

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