Oggi, nella nostra rubrica di cinema, parliamo di attori, di uno in particolare, con doverose premesse, per meglio comprendere, al fine, il pensiero. Chi è l’attore bravo? Certo, uno può definire “bravo” un attore, a seconda dei propri canoni, magari influenzato dal film stesso ma, quando si è cinefili, si impara ad isolare vari aspetti, anche, a volte, una sola scena, una sola faccia, l’eccessiva enfasi, la mimica, a volte totalmente assente, a volte impercettibile, ma è quella che fa la differenza. È quella che scava l’abisso, tra l’Actors Studio e la pletora generale. Actors Studio significa Robert De Niro, Al Pacino, Mark Ruffalo, quest’ultimo davvero sorprendente nella sua crescita. Quegli attori, insomma, che, anche in presenza di pellicole non proprio illuminate, tirano fuori sempre qualcosa, a volte, come si dice in gergo, “gigioneggiando”. Gli italiani. Chi, come me, (seppur piccolo di età) è cresciuto con Vittorio De Sica, Gassman, Ugo Tognazzi, Mastroianni, Alberto Sordi, Totò, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, poi Giancarlo Giannini, la Melato, e altri (sono troppi) può azzardare un giudizio sull’attore Italiano. Grandi scuole, certo, grandi registi, e grandi caratteristi: Gigi Reder (il Filini di Fantozzi), Aldo Maccione, bravissimo e sottovalutato, così come Angelo Infanti (il famoso Manuel Fantoni, play boy mitomane del film “Borotalco” di Verdone).
E veniamo a quelli che, a vario titolo, sono considerati oggi i nostri attori migliori: Elio Germano, Pierfrancesco Favino, Valerio Mastrandrea, Claudio Santamaria. Tutti bravini, ma che risultano ingigantiti dal vuoto pneumatico che avvolge il cinema italiano. Il migliore è certamente Favino. Uno che dà l’impressione di una ricerca introspettiva non forzata, ma di metodo. Gli altri, qualche ruolo e qualche film di livello, ma manca lo scatto, quello che ti proietta nella dimensione attoriale pura: l’interpretazione di più ruoli, diversi tra loro, sotto tutti gli aspetti. Ma, signori, un grandissimo attore ce l’abbiamo. Una luce nel buio, Alessandro Borghi.
L’incipit di questo articolo: chi è l’attore bravo? L’attore bravo è quello che recita come se parlasse davanti al bar con gli amici. Quello di cui avverti la naturalezza dei gesti e dei “non” gesti. Quello che prende il copione e lo plasma a seconda del personaggio che vuole far nascere. Misurato, mimico, minimalista. Ma poi aggressivo, burino, cattivo. Poi orgoglioso e avvilito. Tutto, racchiuso in sguardi di varia rappresentanza che, spesso, rendono superflue le parole. Chi è l’attore bravo? È quello che lavora sul fisico. Ora scarno e stracciato, ora nervoso e muscolare, per poi indossare, con la stessa naturalezza, i gessati di sartoria. In “Non essere Cattivo” si confronta con un ottimo Luca Marinelli riuscendo, però, a far percepire una sensibilità fragile, anche nei momenti aggressivi e che, alla fine, lo fa emergere dal buio. Due anime nella stessa persona, di cui percepisci appena il sentore. Una sfumatura. Quella si chiama: “differenza”. Quando ascolti un’intervista di Alessandro Borghi, ascolti l’amico della porta accanto, finanche timido, semplice, tanto che, chi vi scrive, faticava a pensare che Massimo Ruggero, l’head trader di “Diavoli” sia il “Numero 8” di “Suburra” o la sofferenza degli ultimi giorni di Stefano Cucchi. Eppure era lui, sempre lui, Alessandro Borghi. Robert De Niro, passava dal fascio di nervi di Travis Bickle in “Taxi Driver” all’opulenza di Louis Cypher in “Angel Heart”. Vette che superano le nuvole, certo, e non vogliamo essere blasfemi. Più realisticamente, Alessandro Borghi, ricorda Ryan Gosling, (altro fuoriclasse). Stessa naturalezza, stessa forza dei “non” gesti.
Carlo Marrazza