Il cinema francese, nell’accezione più ampia, quella che può abbracciare interpreti, registi, scuole di pensiero e semplice capacità di fare cinematografia, è considerato, a giusta ragione, il precursore, il capostipite della settima arte. 1895, la data riconosciuta da tutti come la nascita del cinematografo: i fratelli Lumiere, con le prime proiezioni a Parigi, danno vita alla storia del cinema. I cenni storici sono fondamentali per capire il perché, ai giorni nostri, il cinema francese rappresenta ancora un riferimento imprescindibile, con la capacità di rinnovarsi nel tempo attraverso le varie forme di arte e correnti che ne hanno accompagnato il cammino. Chi non ha presente l’immagine iconica della luna con la faccia di un uomo che ha conficcata in un occhio la navicella a forma di proiettile, manifesto del primo film di fantascienza della storia del cinema: Le Voyage dans la lune, datato 1902 di Georges Melies, fino ad arrivare molti decenni dopo alla famosa Nouvelle Vague dei vari Godard, Truffaut, Chabrol, Rohmer, Rivette e ancora Leconte e tanti altri che hanno interpretato e intuito i cambiamenti, annusando l’aria, rappresentando la realtà nelle varie sfaccettature trasformandola in immagini. Quella che io definisco “la superiorità del cinema francese” parte da lì, dalla storia di cui ho solo sfiorato la prefazione. Quando oggi guardi un film francese noti nell’impatto che è figlio di quelle cose. Hanno una marcia diversa, su tutto. Nell’interpretazione degli attori, con la fortuna (che noi attualmente non abbiamo) di avere ancora calibri come Depardieu, Daniel Auteuil, lo stesso Vincent Cassel, per citare i più famosi, ma in mezzo una pletora di bravissimi attori che danno sempre il tocco in più rispetto, anche e soprattutto, al cinema italiano, anche in pellicole senza pretese, in cui però trovi sempre quel retaggio filosofico e interpretativo di coloro che il cinema lo hanno inventato. L’esempio che faccio sempre è quello classico: “Giù al Nord” e “Benvenuti al sud”. Film speculari con il secondo che copia il primo adattandolo all’italica comicità. Un obbrobrio, un tentativo disperato, naufragato a favore della delizia transalpina rispetto al pecoreccio che ci hanno propinato Siani e Bisio. Ma sapete qual è la cosa grave? Che è piaciuto a molti. Ovviamente, in anni passati il confronto lo reggevamo a tutti i livelli. Era l’epoca dei nostri grandi attori e registi, che facevano scuola e di cui evito il pleonastico elenco, ma ci siamo capiti. Persi loro, persi noi, mentre il cinema francese, come sempre, si è rinnovato e ha sfornato nidiate di registi e attori di grande livello. La commedia francese degli ultimi anni è l’esempio più lampante. Film deliziosi, divertenti, amari, agrodolci, noir profondi e tutto il campionario del buon cinema mentre noi annaspiamo con commediole di quart’ordine. Gli ultimi anni hanno scavato il vero abisso. Filmoni come “I 400 colpi” di Truffaut e “Jules e Jim”, “Il marito della parrucchiera” di Leconte, “Il Danno” di Malle, giusto per citarne qualcuno, rischiavano di far impallidire le nuove generazioni di cineasti. Invece no. Certo, è cambiata la modalità, ma film come “Quasi amici”, “Cena tra amici”, “La vita di Adele”, “Il mio amico giardiniere” e tanti altri, hanno segnato l’evoluzione del cinema francese attuale dando un altro percorso. Sarebbe impossibile fare un elenco che comprenda anche quei film che vedi per caso, senza battage pubblicitario, senza annunci, senza suggerimenti. Lo trovi per caso e lo vedi. È francese e, anche in presenza di storie ben definite, lo noti che è fatto e interpretato in maniera diversa, anche con attori sconosciuti. Nei dialoghi sovrapposti, sincopati, persino nelle facce dei protagonisti, e così lo guardi e ti rimane la sensazione di aver “visto” qualcosa. Ecco, tutta la premessa che ho fatto era per giungere a questo empirico concetto, espresso molto semplicemente, perché non avrei saputo rendere meglio l’idea. La tradizione della cinematografia francese tramanda l’eredità di ciò che è stato creato, in un percorso lungo, ma che ha ancora miglia da percorrere e fiumi da attraversare (cit.).
Carlo Marrazza