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IL CORAGGIO DI RIBELLARSI (UN CONSIGLIO DI LETTURA)

Iniziato il 2021 da qualche giorno, vorrei commentare la mia ultima lettura del 2020, di quelle che regalano una prospettiva illuminante sul mondo e sulla vita. Il libro è edito da Raffaele Cortina in uno degli anni più funesti della nostra esistenza, proprio il 2020 e si intitola “Finitudine”. Autore del romanzo in questione è Telmo Pievani, docente di Filosofia delle Scienze Biologiche all’Università degli Studi di Padova e direttore di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. L’espediente letterario che dà vita al romanzo filosofico è un dialogo in più momenti tra Albert Camus – premio Nobel per la letteratura nel 1957, che si immagina in un letto di ospedale, sopravvissuto all’incidente stradale che in realtà ne determinò la morte il 4 gennaio del 1960 – e Jaques Monod, biologo francese, che vincerà (il futuro perché i fatti si svolgono per l’appunto nel 1960) il Premio Nobel per la medicina nel 1965. I due stanno scrivendo un libro a quattro mani di cui fa lettura Monod all’amico degente per revisionarlo insieme, capitolo per capitolo. Ognuno di questi è introdotto da un passo del De rerum natura, poema didascalico di genere filosofico scritto nel I secolo a.C. dall’epicureo Lucrezio. Al termine della lettura della bozza di ogni capitolo, i due amici discutono sulla validità delle proprie argomentazioni e riflettono sulle circostanze storico-politiche a loro contemporanee nelle quali sono coinvolti. Una storia nella storia “Finitudine” che dà spazio alle due voci di Pievani, quella dello scienziato e quella del romanziere. Cosa sa la scienza della Terra? Sa che è vecchia: abbiamo ancora un miliardo di anni da giocarci nella più ottimistica delle ipotesi, non di più. Non ci saranno quindi infiniti umani, soltanto qualche milione di generazioni fino al termine del nostro miliardo. “Crollerà dunque…” ci dice Pievani per bocca di Monod e Camus “…la macchina del mondo”. Ma la finitezza non è cosa solo terrestre, bensì cosmica. La nostra galassia si fonderà tra 6 miliardi di anni con quella di Andromeda, intanto l’Universo continuerà la sua espansione e diventerà più buio e più freddo, fino alla morte termica. Tra migliaia di miliardi di anni, un numero quasi inimmaginabile, le luci del cosmo si spegneranno. Assodata la finitudine di tutte le cose, della vita umana in primis, nulla, né il così apparentemente salvifico progresso, né la tecnica, neppure il DNA stesso può superare e vincere la mortalità del mondo e degli individui. Esattamente come non ci siamo stati all’epoca di Cesare, non ci saremo nel XXII secolo, la stessa assenza, eppure l’idea della prima non ci fa soffrire, quella della seconda sì e molto. Perché nel frattempo è successo che la nostra coscienza individuale è esistita, con la sua esperienza di vita, ci siamo affacciati al mondo e abbiamo ben presto capito di doverlo inevitabilmente lasciare. Nati per caso e necessità in uno dei mondi possibili senza alcun fine o scopo, di certo moriremo. Non c’è un disegno né un senso al di sotto e al di sopra della nostra esistenza. “Come onde dell’oceano ci siamo sollevati per un momento ad ammirare il resto dell’oceano e poi ci immergeremo di nuovo nel tutto”. Un discorso del genere è apparentemente angoscioso, ci getta nell’assoluto sconforto se non ne consideriamo le conseguenze sottese. Tra queste vi è innanzitutto l’inestimabile valore della vita, che proprio perché unica e irripetibile deve essere protetta e protratta più a lungo che si può. Avere coscienza della finitudine ha inoltre un grande valore umanistico perché ci dona la compassione per tutti gli altri che, come noi, sono mortali e in cerca di un senso. Ma bastano a consolarci queste virtù della finitudine? Francamente, no. Esiste però un bene incommensurabile che è la libertà, una libertà a termine certo, ma siamo pur sempre i padroni dei nostri giorni e non ci resta che farci eroicamente carico di tutta l’assurdità che ci è toccata e sfidare la finitudine giorno dopo giorno, incessantemente. In ciò consiste la nostra grandezza di esseri umani: inquietati perennemente dalla fine, ne conosciamo l’ineluttabilità, eppure continuiamo a lottare in modo quasi commovente protestando contro la morte. La libertà di agire, di ribellarsi alle storture, alle ingiustizie, alle brutture, la libertà di rivolta è ciò che affonda il colpo di grazia alla finitudine di tutte le cose. “Finitudine” nasce forse non a caso in epoca pandemica e vuole forse essere un invito al coraggio. La peste di Atene tornerà, ma noi, da campioni della finitudine quali siamo, sapremo fronteggiare la Nera Signora. Se è piaciuto a me che faccio magie un libro così raziocinante, sono sicura che piacerà anche a voi.

Enrica Colasanto

 

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