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Il cinema ritrovato

IL PADRINO, 50 ANNI DI UN CAPOLAVORO IMMORTALE

Il 15 marzo 1972 appariva sul grande schermo “Il Padrino”. Ha compiuto quindi 50 anni il film che nessuno voleva fare e che consacrò F.F. Coppola, fino ad allora semisconosciuto regista, nell’Olimpo dei grandi cineasti. Lo stesso Coppola, insieme a Scorsese, De Palma, Cimino, Milius e Terence Malik avrebbero cambiato per sempre il modo di fare cinema. Basato sul romanzo di Mario Puzo, di cui la Paramount acquistò i diritti, come detto, era un film che nessuno voleva fare e questo fece la fortuna di Coppola che, per girarlo, impose la presenza di un odiato Marlon Brando e di uno sconosciuto e giovane attore, bassino e dallo sguardo intenso, un certo Al Pacino. Da dove cominciare, come cercare di raccontare uno dei film più iconici della storia del cinema e rendere l’idea. Ecco, cominciamo col dire che la lavorazione fu un disastro, le riprese buie con i vertici della Paramount che protestavano: “Ma non si vede niente”. Il temuto Marlon Brando che non ricordava le battute. All’epoca molti si tenevano alla larga dal titanico, incontrollabile, inaffidabile e costosissimo attore ma Coppola, disperato, ottenne un provino. La leggenda narra che si presentò a casa di Marlon Brando con salsiccia e provolone, cosa che l’attore gradì molto. Dopo due ore di convenevoli, Brando prese due batuffoli di cotone, li mise in bocca spingendoli in avanti, si pettinò con la brillantina e, con l’espressione da bull dog che gli era venuta, cominciò a parlare con la voce roca. I vertici Paramount, alla vista del girato, non potettero fare altro che dire: “È lui, il Padrino”. Il film consacrò tutti gli attori, Robert Duvall, James Caan, da caratteristi, diventarono stelle di prima grandezza senza dimenticare la straordinaria interpretazione di Diane Keaton, che sarebbe diventata la musa di Woody Allen. Al Pacino e un giovanissimo De Niro cominciarono il loro cammino verso la leggenda. Già, guardando il film in lingua originale, si rimane interdetti ad ascoltare De Niro nella famosa scena a tavola, con i suoi soci, parlare in siculo-americano stretto: “Canusciu a unu, Frank Pignataru da sucunna avenue ca nun ci dà nienti a Fanucci…se è accussì malandrino come dite vuiautri, lui è uno e nui simu tri…” incommentabile. Piace ricordare anche il cameo di Leopoldo Trieste, bravissimo e perfettamente coevo alla narrazione. Il suo scampolo è da applausi e i giganti non fecero mancare il loro apprezzamento. Come pure Angelo Infanti, Fabrizio, nello scorcio siciliano del film. Il Manuel Fantoni di “Borotalco” era un grande attore ed ha avuto molto, molto meno di quel che meritava. Il film ebbe un successo incredibile, polverizzò in poche settimane niente meno che “Via col Vento”, ebbe 10 candidature all’Oscar e ne vinse 3: miglior attore (Marlon Brando) miglior film e migliore sceneggiatura. Ovviamente Brando non si presentò per una protesta contro le ingiustizie verso le minoranze etniche. Film che ebbe un seguito, e si fa fatica a comprendere quale sia il più clamoroso. Nel secondo, uno strepitoso De Niro vince l’Oscar come miglior attore non protagonista. Il suo giovane Corleone, minimale, timido e feroce è da strapparsi i capelli. Le nomination furono 11 e le statuette 6. Le battute diventate iconiche non si contano. “Ci farò un’offerta che non potrà rifiutare”. “Lascia tutto e pigliami i cannoli. “Si avvicina uno e mi fa: Canapè? Canapè sta minchia c’fazzu io, voglio un timballo di melanzane”. Ma sarebbero tante, troppe. Un film, due film, che sarebbero stati la maledizione di Coppola. John Cazale, strepitoso nel ruolo di Fredo, attore monumentale, troppo presto strappato ai successi che avrebbe meritato. In poco più di 5 anni e riuscito a girare “Il Padrino” e “Il Cacciatore”. Tanti attori in una carriera lunghissima non gli allaccerebbero nemmeno le scarpe. Gastone Moschin, il Fanucci arrogante e uappo di cartone. Una delle migliori espressioni italiane in ambito attoriale. “Abbandando, t’va bbuono ò bisiniss”. Chiudiamo questo racconto probabilmente sul film più visto da tutti con la citazione e solo quella, del terzo episodio della saga. Un insulto che questo capolavoro immenso non avrebbe meritato. S’abbenedica.

Carlo Marrazza

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