Viaggiare in aereo ormai è divenuto un’abitudine per molte persone da tanti anni, la sicurezza di tali mezzi di trasporto ha raggiunto traguardi incredibili ma, ogni volta che qualcosa va storto, la notizia dell’eventuale incidente è in grado di generare grande scalpore. Proprio per questo motivo, nei giorni scorsi, la compagnia americana Boeing ha visto le sue azioni crollare in borsa in seguito ai diversi incidenti dovuti ai malfunzionamenti dei propri velivoli. Ricordando che l’aereo sia comunque il mezzo di trasporto più sicuro al mondo, ritorna in mente un episodio che, negli anni ‘70, precisamente nel 1972, sconvolse tutto il mondo. Si tratta del disastro aereo delle Ande, lo schianto del volo 571. Il 13 ottobre di quell’anno, l’aereo, con a bordo una intera squadra di rugby, urtò un monte nel territorio di Malargue in Argentina, a circa 4200 metri di quota. La squadra partì da Montevideo, capitale uruguaiana, per raggiungere il Cile e disputare una partita a Santiago. Le complicate condizioni metereologiche imposero però il cambio di rotta. Il giorno seguente, infatti, si decise di intraprendere il viaggio attraverso la catena montuosa delle Ande. Le cause del disastro furono determinate dal fatto che l’intera area montuosa era ricoperta di nuvole, così tante da rendere impossibile per il capitano rendersi conto di quanto tempo ci sarebbe voluto per attraversarle. Un vento molto forte rallentò il velivolo confondendo ulteriormente il pilota, che decise di abbassare la quota troppo in fretta. L’aereo si schiantò così su un picco che poi prese il nome di “Ghiacciaio delle Lacrime”. L’ala destra del motore all’urto si staccò lasciando un buco nella fusoliera. Nell’impatto 12 persone sulle 45 totali persero la vita e altre 6 morirono nella prima settimana successiva. L’aereo infatti si trovava a 4200 metri di quota e tutti i passeggeri non possedevano nulla per sopravvivere alle condizioni difficili dell’alta montagna. La cosa che creò grande scalpore, tanto da rendere l’incidente un fenomeno della cultura di massa, fu che i passeggeri, una volta terminate le razioni, furono obbligati a praticare atti di cannibalismo per sopravvivere. Alla tragedia furono dedicate due opere cinematografiche, una del 1976 intitolata “I sopravvissuti delle Ande”, l’altra, del 1993, “Alive-sopravvissuti”. Alla fine, dopo più di due mesi, giunsero i soccorsi e furono portate in salvo soltanto 16 persone, le quali hanno poi raccontato ai media quella che era stata la loro terribile esperienza.
Fernando Giordano