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IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

Se qualcuno vi ha mai detto che non gli costi nulla ripartire ha mentito, a sé stesso o a voi poco importa, di certo ha mentito. Da strega di paese conosco la situazione che si presenta a fine estate nei piccoli centri abitati. Settembre è innanzitutto il mese della riapertura della scuola, per chi ancora la frequenta non c’è periodo dell’anno più spiacevole, se non altro perché segue il relax e il divertimento di agosto. Le uscite quotidiane con gli amici, fare tardi la sera e svegliarsi tardi la mattina, perdere il conto dei giorni: tutto questo a settembre è già passato. Il rossore del tramonto comincia a giungere molto prima di come lo faceva a luglio, la temperatura cala, nessuno esce più a mezzanotte, se comincia a fare parecchio freddo nessuno esce più e i giorni della settimana cominciano a ridelinearsi, si riconosce sempre più netta la differenza tra martedì e sabato, e la domenica pomeriggio torna ad essere il momento in cui si fanno i compiti non svolti il giorno prima. Ma credo di poter affermare senza scostarmi troppo dalla verità, (essendo stata ed essendo l’una e l’altra cosa, studentessa e lavoratrice fuori porta) che l’atmosfera settembrina, ancora più che scombussolare lo stato d’animo degli studenti, ferisca coloro che per lavoro devono ripartire e che, a differenza degli studenti, sono o dovrebbero essere persone adulte, con in testa degli obbiettivi da perseguire con caparbietà e sacrificio.

Per atmosfera settembrina, nel caso di chi ritorna alla propria occupazione, si intende pure il 16 di agosto o il 30 giugno se quell’anno ha preso le ferie in anticipo. Il sentimento che attanaglia chi se ne va è in linea di massima lo stesso: nostalgia, quella che ti prende non in mancanza, ma addirittura ancora in presenza degli affetti e del contesto che si sta per lasciare. Comincia 3 o 4 giorni prima della ripartenza: vai a fare la spesa e ti sovviene che è l’ultima volta che la fai lì, in quel negozietto il cui proprietario ti conosce da quando sei piccola, esci a fare una passeggiata e mentre cammini ti sorprendi nello sforzo di intrappolare nei meandri della tua memoria l’immagine di quei paesaggi, di quelle viuzze, di quei volti. Forse azzardo uno slancio emotivo eccessivo dicendo che, latente, serpeggia in fondo ai cuori di chi se ne deve andare la paura di non rivederli più quei volti. Perché quando per la maggior parte dell’anno non ci sei, tornando di tanto in tanto, più nitidamente riconosci i segni del tempo che passa: ti fa male vedere le rughe di tua madre diventare più profonde, come se non solcassero solo il suo viso, ma scavassero anche nella tua coscienza. I vecchi che muoiono, i giovani che se ne vanno, il paese che si spopola. E quasi hai paura che piano piano non resti più nessuno ad aspettarti e inizi a riflettere sulla direzione in cui sta andando la tua vita, sul senso di ciò che stai facendo e sul senso delle cose. È doloroso settembre, è un po’ come essere in punto di morte. Poi il treno parte, arrivi a destinazione, disfi i bagagli, la routine ti travolge e non pensi più a quanto siano stati difficili i saluti. Coi giorni ti rendi conto che il tuo paese non l’hai lasciato, ma ha fatto il viaggio con te, nelle tue valigie. È lì a fronteggiare i luoghi altri e sempre meno estranei insieme a te, a superare le asperità e a fare tesoro di tutte le esperienze. E poi io sono una strega, schiocco le dita ed è di nuovo agosto.

Enrica Colasanto

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