L’importanza di una nascita, afferma Hannah Arendt nel libro “The human condition”: “Il miracolo che salva il mondo, il dominio delle faccende umane, dalla sua normale, naturale rovina è in definitiva il fatto della natalità, in cui è ontologicamente radicata la facoltà dell’azione”. In altre parole, ogni bambino che nasce è un segno di speranza, di fiducia nei riguardi del mondo e della vita; è il segno che, nonostante la nostra realtà sia individuale e sociale, una nascita è novità, segno di libertà, la possibilità di incominciare qualcosa che altrimenti non incomincerebbe mai (inverno demografico). La società complessa nella quale viviamo ha reso il concetto di famiglia sempre più controverso ed allargato. Un segnale ci veniva dato dalle riflessioni di Georg Simmel che sottolineava che già all’inizio del secolo esisteva un movimento verso l’individualità, tipico della società moderna industriale, fenomeno radicalizzatosi nei giorni nostri, che rendesse incerti i contorni della famiglia, anche per il moltiplicarsi di nuove forme familiari, che rendono difficile identificare il concetto univoco di famiglia, piuttosto oggi si preferisce parlare degli individui che la compongono. Mentre da più parti si rivendica il riconoscimento della famiglia nella sua soggettività sociale, esistono d’altra parte molti studiosi per i quali la cosiddetta “famiglia tradizionale” ha ormai lasciato il posto ad un concetto polimorfo di famiglia, dove non esistono più i tradizionali ruoli del padre e della madre, sanciti da un patto pubblico, ma semplicemente i ruoli di generici partner, i quali possono essere, sì, anche maschio e femmina, sanciti non necessariamente da un patto pubblico, ma anche uomo-uomo, che rivendicano l’adozione, donna-donna, che rivendicano l’inseminazione. Antony Giddens, nel libro “The Trasformation of Intimacy, parla di relazione pura, cioè una relazione sociale che viene costituita in virtù dei vantaggi che ciascuna delle parti può trarre dal rapporto continuativo con l’altro. Siamo di fronte insomma a una crescente pluralizzazione delle forme familiari, ad un concetto “diverso” di famiglia, dietro il quale vedo accendersi riflessioni opportune nelle nostre società complesse. Qual è il significato che attribuiamo alla famiglia? Esiste un concetto indifferenziato o esiste invece un criterio per distinguere ciò che è famiglia da ciò che non lo è? C’è famiglia dove c’è una relazione generativa biologica e culturale tra i coniugi, tra genitori e figli, quindi, dove c’è un incontro generazionale? Oppure, c’è famiglia dove prevale l’amore, la capacità di educare, amare, proteggere, rispettare, punto? La famiglia eterosessuale con figli ha da sempre rappresentato un importante capitale sociale dal quale dipendono l’identità, il futuro delle persone e della comunità sociale, e di come la proporzione della soggettività sociale della famiglia rientri nell’interesse della nostra cultura liberaldemocratica, ma è anche vero che il polimorfismo familiare, le diverse espressioni che le società moderne ormai accettano, devono ormai rientrare nei canoni naturali, senza discriminazioni e preconcetti. Non possiamo più considerare la famiglia come una realtà monolitica che si riproduce sempre allo stesso modo; tuttavia non possiamo più nemmeno considerarla un insieme di individui instabile e polimorfa, senza norme e regole, soprattutto morali, alla maniera della cultura che oggi predomina, per cui percorso avviato ma ancora da definire del tutto. Ulrich Beck sostiene che questa società non può più essere guidata da norme morali o spirituali proprio in quanto essa è individualizzata. E allora diventa importante lo sviluppo di politiche sociali che sappiano riconoscere, distinguere e tutelare, le “famiglie” tutte con figli, grande patrimonio per la società, ancor di più se sono figli con difficoltà, da quelle senza e quindi l’educazione dei figli diventa un grande bene per la società, e pertanto bisogna riconoscere le mediazioni che vengono esercitate a questo proposito dalla famiglia, che risultano decisive in ordine alla riuscita dell’educazione stessa. Quindi il benessere psicologico si raggiunge colmando anche il deficit educativo che, per tante ragioni, risulta sottovalutato.
Luigi Bernabò
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