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Il cinema ritrovato

LA REGINA DEGLI SCACCHI – UNA SERIE TV DA NON PERDERE

Disponibile su Netflix una miniserie della quale tutti parlano. “La regina degli scacchi”, interpretata da Anya Taylor-Joy, è basata sull’omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis, The Queen’s Gambit. Noi l’abbiamo vista e vi raccontiamo i motivi per i quali vale la pena vederla.

Oggi, nella nostra rubrica dedicata al cinema, deviamo un po’ dal sentiero, ma non di molto. Sempre più spesso, per parlare di cinema d’autore, bisogna cercare nella memoria. Sempre meno sono, infatti, le chicche da scovare, il piacere della scoperta del capolavoro di nicchia che è sempre più raro. È un po’ l’epoca dei “prodotti ben fatti”. Scenografia spettacolare e dettagliata, cura dei particolari e dei costumi, atmosfere dell’epoca riprodotte in maniera fedele, scelta ottimale di un/a protagonista, trama fluida con qualche fuoco d’artificio, e il gioco è fatto. Stiamo parlando delle Serie TV, che abbondano nelle piattaforme digitali: Netflix, Amazon, HBO. Il salto di qualità è evidente. Sempre più attori di chiara fama si prestano a queste miniserie, ottimamente confezionate. E così capita di vedere serie dirette da Night Shyamalan, regista de “Il sesto senso” o prodotte da Mick Jagger (Vinyl) o da Stephen King. Jude Law, lo “Young Pope” di Sorrentino, Clive Owen, il protagonista di “The Knick”, spettacolare serie di quattro anni or sono. Anche quest’anno, il trend è continuato, se vogliamo, anche rafforzato. Parliamo de “La Regina di Scacchi”, che ricalca alla perfezione la descrizione del prodotto ben fatto. Una serie decisamente perfetta. La storia senza eccessivi “lampi” non ne pregiudica la qualità. Attori di contorno scelti con cura (menzione per la madre adottiva, semplicemente perfetta nell’incarnare la donna infelice, autoironica, depressa, con matrimonio fallito, degli anni ‘60). Una protagonista che ti rapisce, frutto, evidentemente, di migliaia e migliaia di provini, dato l’insistere, nelle riprese, dei primi piani dello sguardo, fino a trovare quello perfetto. E ci sentiamo di condividere la scelta. Bet Harmon, la bambina problematica che diventa la campionessa di scacchi. La madre adottiva che la accompagna con quella leggerezza quasi indifferente, ma che invece nasconde la complicità che non invade nessuna delle due anime. Regia mirabile. Ognuna delle partite crea Pathos. Dalla prima, al torneo del Kentucky, all’ultima che è la sublimazione del tutto. In mezzo, tante “mosse”. L’arrocco siciliano su tutte. La prima sconfitta, con il “matto del barbiere”, subita nella cantina dell’orfanatrofio dal suo maestro, un custode solitario e taciturno. Le droghe, le mosse riviste sul soffitto, la caduta e la rinascita, per finire all’ultima puntata che definirei un capolavoro, seppur con qualche debacle tipicamente americana. Ma l’atmosfera che si crea in quell’Hotel di Mosca, i dialoghi, l’avvicinamento alla partita finale, contro quel Borgov, il più grande giocatore del mondo, sono uno spettacolo di suspense che ti accompagna ad ogni scena. La radiocronaca della partita, con frotte di gente munite di miniscacchiere, ammassate fuori l’albergo a ripercorrere mossa per mossa fino alla caduta del Re, inteso come pezzo e come campione (cosa evidentemente voluta). Quel Borgov che dice, consegnandogli il pezzo più importante della scacchiera: “È il tuo destino, prendilo”. Beh, la lacrima scende facile. In mezzo, la retorica un po’ troppo accentuata del periodo: l’americana che va in Unione Sovietica e vince, le tensioni che poi si sciolgono, col popolo russo che la acclama. Ma si perdona ad un prodotto che è di eccellenza assoluta, godibile in ogni suo aspetto e che sicuramente avrà avvicinato i moltissimi che l’hanno visto al gioco degli scacchi. La migliore Serie dell’anno, da vedere assolutamente.

Carlo Marrazza

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