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Il salto della quaglia

LA VOCE DI MARYAM

La voce di Maryam e la pioggia tra i suoi capelli senza velo.

“Una volta stavo passeggiando per San Felice, a Bologna, quando è cominciato a piovere. La mia amica mi ha subito prestato un ombrello, ma io ho detto no, aspetta un attimo, voglio sentire ancora un po’ la pioggia tra i capelli”. Inizia così la mia telefonata con Maryam e quelle parole, quelle descrizioni per me così romantiche e poetiche, per lei vogliono dire soltanto una cosa: Libertà. Maryam Amirfarshinejad, questo il suo nome, infatti, spiega subito il senso di quell’aneddoto, dicendomi “Era la prima volta che la pioggia toccava i miei capelli”. Non era stato mai possibile prima, poiché da donna iraniana il suo capo ha dovuto sempre nasconderlo sotto il velo, finché non ha lasciato Teheran per venire in Italia, prima a Bologna, dove ha conseguito una laurea in Arti Visive, la seconda dopo quella presa in Iran, e infine a Rovigo, dove insegna, dipinge e collabora con diverse associazioni culturali. E il velo, l’hijab, e i capelli mai in mostra, che oggi hanno attirato l’attenzione mondiale in seguito alle proteste dopo l’uccisione di Mahsa Amini, la ventiduenne morta dopo l’arresto da parte della polizia religiosa iraniana per non avere coperto adeguatamente il capo, sono soltanto alcune delle costrizioni che devono affrontare le donne persiane e a cui stanno cercando di ribellarsi e opporsi. “Il velo è un simbolo, perché quello che subiscono le donne va oltre. “È di più, tanto di più” mi dice Maryam, fiera del suo impegno sociale e artistico. Già, l’arte, proprio partendo dalle sue opere cerca di spiegarmi la situazione nel suo paese. “In Iran, per esempio, noi donne non possiamo cantare” aggiunge, lei che oltre a essere pittrice è anche cantante e poetessa, “possiamo soltanto farlo insieme ad altre donne, l’importante è che le voci singole non siano distinte”. Continua: “Io ho avuto sempre il desiderio di cantare e ballare, però non ho potuto farlo. Per me questa è violenza, magari non fisica, ma è lo stesso violenza. Significa non potere essere chi voglio, che altri decidono per me della mia vita”. Un po’ faccio fatica a comprendere il suo racconto, da europeo e soprattutto da uomo è per me impensabile uno scenario del genere, però esiste, è così e l’energia di Maryam nel raccontare tutto ciò mi fa sentire piccolo, lo ammetto, e di questo le sono grato. Mi dice anche che ha pubblicato un cd, nel 2010, di musica “parlata”. “È stato un atto di protesta” dice ridendo “non posso cantare? Ok, parlo. Così il testo della canzone è parlato, non cantato”. Poi, inevitabile per chi ha lo stesso vezzo, finiamo a parlare di poesia, del Ministero della Cultura iraniana che legge, censura, cambia parole e (forse) approva la pubblicazione di libri, ma soprattutto parliamo delle poesie che Maryam ha scritto e sta scrivendo e dei numerosi progetti cui sta lavorando, tra cui l’associazione che sta mettendo in piedi, dal nome letterario, e non poteva essere altrimenti, “Le mille e una notte”. Infine, il suo invito a lottare insieme, contro tutte le dittature del mondo, e la gioia sottolineata nel vedere come tante italiane e italiani sono scesi in piazza a manifestare la propria solidarietà alla popolazione iraniana. “Se siamo tanti” è la sua domanda retorica “che cosa possono farci?”. Allora colgo l’occasione e gliela faccio anche io una domanda, considerati i rischi cui una donna iraniana si sottopone nel far sentire la propria voce, anche lontano dal suo paese. Le chiedo se ha paura e lei senza neanche pensarci risponde: “Sì, so che i pericoli sono tanti, ma Noi donne iraniane lo dobbiamo fare per le nostre figlie, le nostre nipoti. Come posso guardarle negli occhi se resto in silenzio?”. Già, mi dico. E a quelle parole sono io che resto in silenzio.

Pasquale Quaglia

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