L’amico a cena senza preavviso. Un convivio serale con Federico Buffa.
Metti una sera a cena con Federico Buffa. Quando si ha la fortuna di essere amico di un attore e regista teatrale come Pierluigi Iorio che, negli ultimi tempi, ha lavorato con lo stesso Buffa in diversi progetti, beh, può capitare anche questo. Ti arriva un invito criptico, un appuntamento per un prequel del compleanno, che si sarebbe celebrato il giorno dopo. Non un compleanno qualunque, ma un traguardo importante, il mezzo secolo, quei 50 anni che sono spesso lo spunto per una riflessione su quel che si è fatto e quel che sarà. I 50 di Pierluigi Iorio. L’invito, come detto, è inusuale. Appuntamento al ristorante, senza ulteriori informazioni, insieme ad altri due commensali, uno conosciuto, l’amico di sempre, di entrambi, Nico Bonora, l’avvocato, e il quarto tenuto debitamente occultato. Unico indizio, il coperto in più piazzato sul tavolo apparecchiato per quattro. Ti siedi e aspetti. Chi sarà mai? Facciamo ipotesi, io e l’avvocato, arrivati prima, sorridi alle idee più strampalate che sanno di presa in giro e di autoironia. Poi si apre la porta e, mentre ti aspetti il primo che entra, il festeggiato, con tua grande sorpresa, l’altro è Federico Buffa, reduce da una performance in quel di Sala Consilina. Roba per le Università. Superato il primo momento di delusione (ci aspettavamo una bella attrice) ci si scambiano i convenevoli di rito e ti chiedi se il tuo grado di “preparazione” sia adatto alla conversazione che, inevitabilmente, ci sarebbe stata durante la cena. Hai Buffa di fronte, quello del “Leggìo in noce per Shaquille” il suo modo per celebrare una giocata di O’Neal nelle mitiche telecronache della NBA in coppia con Flavio Tranquillo, che erano uno spettacolo nello spettacolo. L’uomo è uguale all’artista, stessa cadenza nel racconto, stesse pause, stessa enfasi nell’esaltare l’argomento in tavola. Da subito il buon Federico prende in mano le redini della cosa, fiondandosi, in una corsetta elegante, nella cantina per scegliere il vino. Ne esce qualche minuto dopo con una bottiglia di Franciacorta ed esclama: “Ho preso la Bolla. Se si festeggia, ci vuole la Bolla”. La Bolla, le bollicine. Non meno deciso nell’ordine, allorquando il cameriere espone le pietanze, io mi permetto, come da prassi consolidata, di proporre un assaggio di tutto, da condividere, incontrando subito il suo: “Nada nada, io voglio questo e questo e lo voglio per me”. Si sorride, cominciano le schermaglie tra amici, le battute pronte che hanno radici lontane, quelle battute che fanno dire al quasi esterrefatto Federico: “Dì la verità Pier, mi hai portato due attori. Cosa fanno loro in realtà? Loro sono una coppia comica”. In realtà sono meccanismi di conversazione consolidati nel tempo. Ma hai Federico Buffa e allora non puoi non chiedergli delle sue esperienze, quelle che lo hanno portato dall’essere brillante telecronista e narratore di leggende dello sport, ad attore a tutto tondo, avendo avuto l’idea brillantissima di portare in teatro le grandi gesta degli uomini, anche quelli sconosciuti al grande pubblico. Ed è qui che si è cementato il legame con Pierluigi Iorio che, folgorato dal documentario dello stesso Buffa su Maradona, si mise in contatto con lui, per portare quel lavoro in teatro. Si conoscono a Reggio Emilia e buttano giù appunti. I contatti si consolidano fino a quando la storia romantica di un calcio che non c’è più arriva nelle mani di Pierluigi, e sembra disegnata letteralmente per le corde e il modo di raccontare di Federico Buffa. Gli manda una mail e lui, immediatamente, lo chiama: “Cioè, conosci El trinche Carlovich?”. Detto, fatto, Federico Buffa racconta “Esta noche juega El Trinche” con alla regia Pierluigi Iorio. La storia esaltante e malinconica del Trinche Carlovich, uno dei più talentuosi calciatori argentini, rosarino, vero idolo delle folle. Così bravo con il pallone tra i piedi eppure così indolente, così restìo ad essere calciatore a tutto tondo, con i doveri che comporta. Buffa racconta, nello spettacolo, come il giocatore non abbia mai voluto abbandonare la sua squadretta, il Central Cordoba, tranne una parentesi nel Colon de Santa Fe dove disputò le sue uniche 3 presenze nella massima serie Argentina. Si racconta di quando la Nazionale Argentina volle giocare un’amichevole contro una squadra fatta tutta di giocatori di Rosario, in previsione del mondiale del 1974. Ebbene il primo tempo finì 3-0 per i rosarini, con El Trinche che stava letteralmente umiliando i Nazionali tanto da costringere l’allenatore, Vladislao Cap, a chiedere al collega di far uscire Carlovich. Come quando Maradona era in conferenza a Rosario ed esclamò: “Il giocatore più forte Argentino lo avete qua, El Trinche”. Sentire Buffa raccontare queste cose era come stare a teatro o davanti alla TV. Per lui la tavola era il palcoscenico e noi gli spettatori. La sua passione per il Sudamerica tanto che, quando, incautamente, dissi che non c’ero mai stato, per primo incontrai il suo sguardo perplesso, poi la sua triste consapevolezza: “Cioè, non sei mai stato a Buenos Aires?”. E l’espressione era come quella di Nanni Moretti davanti alla Sacher torte, non conosciuta dagli altri commensali, come a dire: “Vabè, facciamoci del male”. Da quattro anni il sodalizio Iorio-Buffa va avanti e ogni volta che deve portare a teatro uno spettacolo o deve esprimersi nello storytelling, chiama, si confronta e chiede consigli. Uno di questi è andato in onda nella terza puntata di “Pelè”, uno dei suoi ultimi lavori. Si parlava di striscioni, di questi brasiliani in giro per il mondo. Uno stava a Napoli, quel Faustino Canè che i tifosi conoscono bene. Ora, i Napoletani, nella loro verve riconosciuta, un giorno esposero tale striscione: “Didì, Vavà e Pelè, sit a uallera e Canè”. Federico ne rimase folgorato e lo portò, appunto, nel suo “Pelè”. Arriva la carne, e Federico, ancora in corsetta elegante, ripiomba nella cantina e ne esce con un rosso, che denota la sua esperienza nel bere bene. Ma la serata doveva ancora avere la sua apoteosi. Arriva il momento del digestivo, l’impavido cameriere si erge davanti alla tavola, immobile. Federico esclama: “Che grappa avete?” E l’impavido, di rimando: “Beh, abbiamo la Berta e…”. Prima che possa proseguire nel suo elenco, Buffa lo ferma: “Cioè, avete la Berta? Una grappa piemontese qui?”. E viene fuori che lui è grande amico del produttore del suddetto liquido, Chicco Berta. Balza in piedi e l’attore prende il sopravvento: “Pier allora, io mi metto dietro di lui (il cameriere) tu domandi che grappa avete? Lui dice Berta e io esco e dico, davvero avete la Berta?”. Si stava costruendo una scenetta da immortalare in video. Si cambia il copione originale per renderlo più fruibile e, a quel punto, il genio prende il sopravvento. Il cameriere, ascoltando la nuova versione della scena esclama: “Ma così mi tagliate la parte”. Gelo, e poi risate. La serata poteva finire lì. Si sta per uscire, ma Federico conserva l’ultimo colpo. Osservando le scarpe di chi vi scrive dice con sorpresa: “Cioè, hai le scarpe di Kill Bill? Beh allora dillo”. Sì, le Onitsuka Tiger, gialle. Una, due foto rubate mentre lui esclama “Io mi nascondo” e ci infiliamo nelle macchine. Lui l’indomani aveva appuntamento a Torino per un briefing sul lavoro che è uscito in questi giorni: L’altro cammino per Santiago, Coppa Davis 1976”. Una bella serata tra amici. C’era anche Federico Buffa.
Carlo Marrazza
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