“Fisicamente, noi siamo sani finché i vari organi del corpo funzionano normalmente e, attraverso il loro funzionamento specifico, contribuiscono a uno stato generale di benessere. Psichicamente, occorre più di questo” (Anna Freud).
Dopo anni di cecità, in cui ha regnato suprema l’ignoranza per quanto concerne il tema della psicologia e la figura dello psicologo, finalmente ad oggi possiamo dire che stia iniziando a rivendicare il suo ruolo fondante nella vita di ogni individuo. Che sia frutto delle conseguenze causate dalla pandemia o della normalizzazione della psicoterapia grazie alla diffusione mediatica, quando un tabù diventa virale, che sia per necessità o per moda, siamo dinnanzi all’avvento di una nuova era: l’era della promozione della sanità mentale e della conoscenza introspettiva di noi stessi. Il motivo per cui si sono da sempre prese le distanze dall’argomento risiede nella difficoltà di scendere a patti con i propri criteri morali in termini di autoaccusa o di autoapprovazione; tuttavia, la soppressione dei problemi è il processo che porta alla manifestazione amplificata degli stessi. Davanti all’influenza psichica nelle funzioni cognitive, comportamentali e relazionali dell’individuo non si può più scappare. Urge ascoltare, urge curare. “Ma chi è che è giusto vada dallo psicologo?”. Questa è la domanda che mi viene posta più frequentemente, la risposta è semplice: chiunque voglia migliorare, chiunque abbia il coraggio di fare i conti con la propria imperfezione umana, chiunque sappia mettersi in discussione per potersi conseguentemente accettare. La più alta espressione empatica risiede infatti nell’accettazione, non nel giudizio di sé o altrui. Ciò si basa sul paradosso di Carl Rogers secondo cui, quando impariamo ad accettarci quello è il momento esatto in cui possiamo cambiare. “La psicoanalisi è un’opportunità, un’opportunità di ripartire” (Jacques Lacan). Si tratta di una vera e propria ideazione artistica, l’arte del curare l’anima e se la creatività è permettersi di fare sbagli, la psicoanalisi è permettersi di accettarli. Non esistono persone malate, esistono solo persone non ascoltate; spesso non si è autonomamente in grado di riconoscersi come bisognosi d’aiuto ma, come ben sappiamo, nessuno si salva da solo. Un’adeguata alleanza terapeutica si basa sul rapporto empatico neutrale tra psicologo e paziente conducendo alla risoluzione introspettiva. Ma cos’è questa tanto acclamata “empatia” di cui si parla molto ma si pratica ben poco? L’empatia dovrebbe essere alla base di ogni relazione interindividuale, questa è ciò che fa crollare le fortezze difensive che erigiamo intorno a noi stessi, allenta le nostre difese permettendo di sostenere l’emotività altrui. Mediante il rapporto empatico ci immedesimiamo nei panni dell’altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe; ciò costituisce un fattore essenziale di sopravvivenza in un mondo in cui l’uomo è in continua competizione con gli altri uomini. Partendo dall’empatia diamo inizio al percorso introspettivo più emozionante che possiamo compiere per noi stessi e che ci condurrà al conseguimento della stabilità mentale, attraversando una varietà di luoghi dove gli occhi non arrivano. Troppo spesso tendiamo a confondere i limiti del proprio campo visivo con i confini del mondo e ciò comporta un’indiscutibile limitazione mentale in quanto, nella psicologia, il mondo introspettivo inizia dove termina il campo visivo.
Ludovica Emanuela Liccardi