Le politiche sociali rinviano sempre ad una questione di fondo, sono una scelta di valori. Parlare di politiche sociali significa decidere che tipo di società vogliamo e quali debbano essere i valori fondanti nella nostra comunità, se valori solo di mercato o se valori di solidarietà e di umanità. Immaginiamo di partire dal contesto in cui si colloca il rapporto terzo settore-istituzioni pubbliche rispetto alla co-progettazione delle politiche sociali in una zona. Uno scenario che negli ultimi vent’anni è profondamente mutato, tanto che il welfare, ovvero l’oggetto stesso delle politiche sociali, è messo in discussione. Il welfare non è il sistema degli interventi a favore dei poveri, ma un insieme di dispositivi a favore di tutti. Abbiamo bisogno dei servizi anche solo per il fatto di attraversare una certa fase della nostra vita: la maggior parte delle somme stanziate per il welfare è dedicata ai servizi per gli anziani e per l’infanzia. Il welfare insomma è il frutto più prezioso della democrazia; il dispositivo che trasforma un potenziale conflitto in fraternità: attraverso i servizi di welfare i problemi di una famiglia diventano problemi di tutti. Oggi il welfare è in discussione. Da più parti si dice che è una zavorra finanziaria. Ci sono meno soldi a disposizione delle istituzioni mentre aumentano i problemi delle famiglie: la difficoltà di arrivare a fine mese coinvolge persone che fino ad oggi non avevano mai avuto a che fare con questa situazione. Al contempo, le reti sociali e familiari evaporano e diventa più difficile per cittadini e servizi gestire questi problemi. La crisi economica, mescolata alle attese smisurate che la cultura dominante impone alle nostre esistenze, diffondono risentimento e sfiducia verso le istituzioni, compreso i servizi di welfare. La situazione non è facile, ma smantellare il welfare significherebbe aprire la strada alla violenza, perché welfare e democrazia, come si è detto, sono strettamente legati e perché la democrazia è il dispositivo che l’umanità ha faticosamente costruito nei secoli per trasformare la violenza in disponibilità alla concertazione. In questo contesto c’è chi propone una diminuzione del ruolo del pubblico a favore di un’autoregolazione della società civile e chi al contrario ritiene che un punto di vista in grado di riequilibrare le disuguaglianze possa essere presidiato solo dalle istituzioni, che sono la casa di tutti. Sembra farsi strada comunque la consapevolezza che senza uno sforzo congiunto di tutte le energie della comunità per generare nuove risorse, non solo finanziarie, ma soprattutto umane, non sia possibile gestire la crescita esponenziale di queste nuove vulnerabilità evitando derive autoritarie. Non è immaginabile che il nostro sistema di welfare, pubblico e terzo settore, nella sua formulazione in voga fino a pochi anni fa, il cosiddetto “welfare mix”, calibrato su un 3% di poveri, possa reggere l’impatto di un 30% di nuovi poveri. La sfida del nuovo welfare generativo e comunitario è complessa: per questo richiede non solo nuove iniziative e nuovi attori, ma anche nuove competenze che non sembrano ancora molto diffuse. Serve un investimento strategico da parte delle istituzioni e di tutti gli attori della comunità nella generazione di nuovi legami sociali, nell’aiutare le organizzazioni del terzo settore a farsi soglia verso le nuove vulnerabilità che attraversano il ceto medio, paralizzato dalla vergogna nel mostrare la propria nuova condizione e con una dotazione sempre più esigua di reti sociali. In gioco c’è una svolta di notevoli proporzioni che mette in gioco una nuova declinazione del principio di sussidiarietà. Non si tratta più di integrare in un tessuto sociale coeso un numero esiguo di persone marginali, ma di favorire la reinclusione di una fascia consistente di cittadini che stanno slittando verso la povertà e al contempo vanno autoesodandosi dalla cittadinanza. La solidarietà sta cambiando forme. In questa situazione, sarebbe importante che il volontariato si ponesse verso le istituzioni non soltanto con la logica del “mi devi”, ma che esigesse di essere valutato secondo criteri nuovi inerenti la nuova situazione sociale che stiamo attraversando. Così come simmetricamente sarà necessario per le istituzioni porsi in ascolto delle istanze proposte dalla società civile, negoziare le priorità dell’agenda con i soggetti che popolano il contesto sociale e utilizzare nuovi criteri di valutazione per decidere quali progetti sostenere o meno.
Luigi Bernabò