La Scapigliatura è una band cremonese formata dai fratelli Jacopo e Niccolò Bodini. Il progetto nasce nel 2014, dall’incontro con l’etichetta Mescal, e prende forma con l’omonimo album che, nel 2015, riceve la Targa Tenco per la miglior Opera Prima. Nelle loro canzoni la tradizione cantautorale italiana viene rivisitata con un linguaggio pop, ironico e ricco di riferimenti alla cultura alta; l’ascolto è un viaggio musicale che, dalla canzone d’autore, passa per l’elettronica francese e le suggestive atmosfere del rock nord-europeo. Un background eclettico ed internazionale che riflette le esperienze di vita dei due artisti: Jacopo, musicista e filosofo, si esibisce sui palchi più intimi della Francia, dove sta conseguendo un dottorato di ricerca. Niccolò, di poco più giovane, è studente in Giurisprudenza a Milano, dove è attivo da tempo nel mondo dello spettacolo. Dopo aver ballato come “le zingare nel deserto” sulle note di Ios Mykonos e dedicato al capoluogo meneghino un featuring con Arisa, La Scapigliatura consegna alla rete L’insostenibile leggerezza dell’indie, un anti-manifesto delle mode musicali, terzo tassello discografico che anticipa Coolturale, il nuovo album di inediti. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il duo, che si è rivelato in tutta la sua raffinatezza intellettuale.
Ciao ragazzi, come nasce il progetto musicale La Scapigliatura?
“La Scapigliatura è quel movimento artistico-letterario che di solito si studia a scuola, in quinta superiore. Noi ci siamo sempre rivisti nella loro poetica, ironici, impegnati, post-romantici e pre-decadentisti, mischiavano storie di amore e romanzi di formazione ad argomenti politici contemporanei. Questo giocare con i destini individuali, intrecciandoli a quelli collettivi, ci ha sempre affascinato e pensiamo che si ritrovi anche nelle nostre canzoni. Anni dopo, una domenica mattina, stavamo andando a un matrimonio, eravamo entrambi vestiti eleganti ma con poche ore di sonno addosso, la testa pesante, tante cose da dirci, tra cui discutere il nome del progetto, e ci è venuto spontaneo osservare che sembravamo proprio due scapigliati. Così abbiamo risvegliato in noi l’interesse per quegli autori, che abbiamo letto e approfondito, sentendoci davvero parte di una scapigliatura, intesa come modo di vivere e fare arte”.
In Ios Mykonos c’è una forte assonanza con “Io mi conosco”: il brano si presenta come un viaggio alla ricerca di sé stessi e termina con “E come Ulisse io faccio ritorno ma ciò a cui ritorno non esiste”. Raccontateci il significato di questa frase in loop.
“La frase si ispira a un romanzo di Milan Kundera, L’indifferenza, e a un passaggio di un libro di Mauro Carbone, L’amore al tempo del nichilismo, che la commenta. Quando Ulisse torna ad Itaca, inizialmente non la riconosce: dapprima perché avvolta in una nebbia mattutina, in seguito, quando la nebbia si dissolve, perché la trova diversa. Il luogo del passato, a cui aveva disperatamente cercato di fare ritorno, non esisteva più. La canzone nasce da un nostro ritorno in certe isole della Grecia, a dieci anni da un precedente viaggio e ci siamo ritrovati come Ulisse, spaesati rispetto al passato che cercavamo e che non c’era più. La canzone gioca sul paradosso, alla base della cultura occidentale, per cui la conoscenza sarebbe l’essere e non il divenire. In realtà, conoscere è divenire, con la conseguente impossibilità di fare ritorno a ciò che si era prima”.
Il videoclip dell’uggiosa Rincontrarsi un giorno a Milano (feat. Arisa) rievoca scene cult del cinema morettiano: quanto vi ha ispirato Nanni Moretti e la sua estetica?
“Nanni Moretti è da sempre un punto di riferimento, una sorta di profeta che, nel suo particolare modo di celebrare la finzione cinematografica, è riuscito ad anticipare eventi epocali, dalla fine del Socialismo reale all’abiura del Papa. Porta con sé un’estetica pregnante, densa di ironie e nevrosi, dolcezze e gesti di rabbia, che volevamo a tutti i costi richiamare nel nostro videoclip. Da un lato perché anche Arisa è una sua grande fan, dall’altro perché Rincontrarsi un giorno a Milano racconta dei primi anni dell’università, gli anni in cui Nanni Moretti è entrato prepotentemente nelle nostre vite. Inoltre, questa canzone è il capitolo conclusivo di una trilogia che nasce con Memo Remigi e la sua Innamorati a Milano, passa da Niccolò Fabi con Lasciarsi un giorno a Roma e finisce con la nostra Rincontrarsi un giorno a Milano. Quindi ci si innamora a Milano, ci si lascia a Roma e poi ci si rincontra di nuovo a Milano. I bohémien avevano Parigi, a noi scapigliati resta Milano”.
In L’insostenibile leggerezza dell’indie avete flirtato con la leggerezza e con l’omonimo genere musicale ma avete confessato anche un senso di inadeguatezza e di insostenibilità. Parlateci di questa canzone.
“Questa canzone nasce, anch’essa, da un romanzo di Milan Kundera, il celebre L’insostenibile leggerezza dell’essere. L’autore si chiede cosa sia più importante tra la leggerezza delle cose o la loro pesantezza, intesa anche come maggior consistenza. Questo dilemma attraversa anche il nostro modo di esprimerci, di scrivere canzoni. Normalmente ci viene spontaneo scrivere cose che partono dal desiderio di dire qualcosa di profondo, qualcosa di universale. Però poi è innegabile che la direzione della musica italiana, anche quella apparentemente non commerciale, sia diventata la spensieratezza, la leggerezza, la passione per le cose quotidiane. Di conseguenza, abbiamo provato a scrivere una canzone che, appunto, flirtasse tra il nostro modo di essere e quello del nostro tempo, più effimero, istantaneo, trasparente. A volte è bello anche guardarsi dall’esterno”.
Mariangela Maio