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LORENZO KRUGER

“La modernità mi dà inquietudine”. La Singolarità di Lorenzo Kruger

Stereotipazione dell’amore, odio scrivere banalità, è tutto un fatto culturale se vivo in questa singolarità: e Singolarità è il nuovo album di Lorenzo Kruger in uscita per Woodworm, con la produzione di Taketo Gohara e distribuito da Universal Music Italia. Dieci inediti che segnano ufficialmente il ritorno discografico dell’ecclettico cantautore, già frontman dei Nobraino. Preceduto dai brani Con me Low-Fi e Il Calabrone, l’album si presenta come la naturale definizione di un percorso di cambiamento e di ricerca, durato all’incirca quattro anni. Identità molteplici, un sound moderno ed elegante, della seria ironia e l’inconfondibile timbro di Kruger convergono, in un gioco linguistico e semantico, nel titolo dell’album. Singolarità, termine polivalente che, dalla fisica alla sociologia, può assumere significati diversissimi a seconda del contesto. Kruger lo evoca e lo spende principalmente su due piani: il passaggio in solo dell’artista e il tema dell’individuo nelle canzoni. Due profili che spesso si sovrappongono su un fondale di realtà e storie standardizzate, di stereotipi, di banalità. “Siamo al paradosso: l’autocelebrazione dell’individuo è la più recente forma di omologazione. Troppe singolarità creano una pluralità inintellegibile. Ed io non faccio certo eccezione” – anticipa Kruger. Nel modello unificante il pensiero si perde e anche amare diventa complesso. Ne deriva un senso di isolamento, di inadeguatezza, di solitudine seppure cosciente, che si analizza, che cerca un’evoluzione oltre i preconcetti che la causano. Una piccola licenza per descrivere l’incapacità del singolo di anteporre le proprie affinità elettive ai canoni, estetici e sessuali, imposti dalla cultura del nostro tempo, incapacità a cui l’artista stesso non si sottrae.

“La modernità mi dà inquietudine”, quanto sente sua questa affermazione?

“Al 100%. La modernità come concetto, atteggiamento mentale, come obiettivo mi attrae, ma mi pare che si stiano vivendo tempi ossessionati dal futuro e questa ossessione viene spacciata per modernità. In realtà una mente retrograda, anche quando è armata dell’ultima tecnologia, rimane tale se non tende ad una modernità di pensiero. Questo fraintendimento mi turba, perché in questa rincorsa indistinta al nuovo la rottamazione è continua e selvaggia, a volte paradossalmente ottusa”.

In Copernico scrive: “La mia intelligenza è una schiava di tutte le mie idee del mio tempo”. L’idea che, più fra tutte, la fa da padrone…

“Credo che essere giovani, nuovi, futuribili, tecnologici sia la mania di questo tempo, che corre il rischio di dimenticare certe ricette fondamentali per impararne di più passeggere. Non mi piace passare per nostalgico, passatista, vetero-romantico, isolato dal flusso del presente. Non lo sono, ma è vero che ho l’età per schierarmi dalla parte delle cose che vorrei sopravvivessero”.

Chercheur, termine francese che indica, più romanticamente, colui che continua a cercare il suo destino anche a costo di rinunciare alle proprie sicurezze. Ce ne parli…

“Io vorrei essere un vero Chercheur. Impavidamente legato alla sua sorte, vittima consenziente della sua vocazione, irrimediabilmente egoista. É il mio eroe, quello che non sono, perché troppo impaurito dal perdere tutto, legato ad un sistema di cose e valori ai quali non ho saputo rinunciare”.

Potremmo definire l’album un’anti-celebrazione dell’individuo?

“Non sono un amante delle definizioni. Definire significa tracciare dei confini attorno. Perché dopo tanta fatica impiegata a fare un disco dovrei costruirgli dei recinti? Meglio lasciare che siano gli altri a farlo, se serve loro per orientarsi in questo ascolto”.

L’antidoto a questa Singolarità?

“E chi dice serva un rimedio? Potrebbe essere immodesto pensare di deviare la storia; sarebbe già tanto capirla. Universale e particolare sembrano essere i due poli attorno ai quali tutto si muove. Tutto oscilla tra infinitamente piccolo e infinitamente grande, tra umanità e individuo, tra particella e universo, ma forse è solo un’aberrazione provocata dalle nostre percezioni; probabilmente sono la stessa cosa”.

Mariangela Maio

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