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LUISA BRUNETTI, IN ARTE HELLE

“Io non sarò un ingranaggio nel tuo sistema utilitario”: HELLE canta DISONORE.

Fuori lo scorso 25 giugno per l’etichetta Volume!, Disonore è il debut album della cantautrice e produttrice bolognese Luisa Brunetti, in arte Helle. Una serie di singoli, Carovane e Rispetto, avevano già cadenzato l’arrivo di questo disco elettropop che si arricchisce di influenze e visioni nuove, per slegarsi da qualsiasi etichetta e rispecchiare a pieno il carattere caleidoscopico della giovane producer. Al centro della ricerca sonora e artistica di Helle c’è la scoperta degli angoli periferici dell’animo umano, una perlustrazione che porta a riconoscere le maschere indossate nelle diverse occasioni della vita, mettendo a confronto, di volta in volta, le due facce della stessa medaglia. Helle è nata a Bologna il 14 Giugno 1994. Ha Iniziato a scrivere poesie all’età di undici anni e a suonare la chitarra dall’adolescenza. Ha lavorato per quattro anni in Fonoprint, dove ha avuto l’opportunità di conoscere e collaborare con Bruno Mariani. Negli stessi anni ha suonato con Ricky Portera. Nel 2016 ha partecipato ad Area Sanremo, arrivando fra i 70 finalisti del concorso. Dopo la pubblicazione di vari singoli in inglese, è arrivato per la cantautrice il momento di intraprendere una nuova fase della sua carriera artistica, iniziata già nel maggio 2020, con l’uscita in radio del singolo Tra le strade della mia città. Dalla voce pura, a tratti lucente, metallica (qualità messa in risalto soprattutto dal genere), alla quale si mescolano testi fuligginosi, il risultato è uno stile “urban” e sofisticato che non perde di profondità.

Perché “Helle”? E perché l’elettropop?

“La lettera H è stata aggiunta all’iniziale del mio nome – mi chiamo Lisa. L’elettropop è una passione”.

“Disonore” è stato definito l’album della rinascita, che significato ha per te questa parola?

“La rinascita è comunemente intesa in senso positivo, ha un’accezione luminosa, quasi. È una bella parola, ma onestamente non saprei dirti se sia un album della rinascita o un album dell’inabissamento. Forse tutti e due, d’altronde per rinascere devi prima passare dal buio”.

Cosa ti ha spinto ad intraprendere questo “viaggio periferico” e come sei riuscita ad intrecciare tematiche quali la vergogna, il vizio, l’incoerenza, l’esilio a un sound che si potrebbe definire “disimpegnato”?

“Ho sempre scritto tanto di vergogna, credo sia una delle sensazioni più atroci che si possano provare. Peggio della vergogna non c’è nulla, solo il dolore puro della perdita. Il compito principale che mi sono prefissata, dal punto di vista musicale, è stato quello della coerenza. Disonore è un album molto vario, perciò ho cercato di amalgamare il tutto sotto un suono elettronico scuro, rotondo”.

A chi è rivolto questo disco?

“A chiunque lo voglia ascoltare”.

A quale canzone dell’album sei maggiormente legata e perché?

“Grazie per la domanda. La canzone alla quale sono più legata – non in modo sognante ed etereo, ma per vie più cupe e quasi simbiotiche – credo sia Chimere. È ispirata ad una storia vera. Quest’inverno dopo una cena mi sono ritrovata a vagare in un parcheggio in cerca dell’auto. Mi sono fermata a fissare il buio fra le cascate di luci dei lampioni, quella zona d’ombra profondissima, e lì è nato il nucleo generatore della canzone”.

Parlaci dei brani Rispetto e Disonore.

“Sono brani adrenalinici, mettono in chiaro sin da subito di cosa stiamo parlando. Disonore ha due anime, quella più delicata e quella ritmica. Ha un linguaggio più poetico di Rispetto, in questo senso la preferisco”.

Ti sentiremo dal vivo? Sono previste delle date?

“Sicuramente! Per adesso le stiamo ancora organizzando”.

Mariangela Maio

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