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MARCO VECCHIO NARRA LA SUA PITTURA

Marco Vecchio: Il blu del cielo e dell’abisso.

«Un portone di ferro privato in origine, disastrato, di Salerno in via Tasso, è ora un mio “racconto” di una città trasfigurata e sospesa tra cielo e mare. Con tetti nel blu e un gatto rosso, cittadino onorario, Romeo, come una nuvola».

Marco narra con parole cullanti la sua visione interiore attraverso la pittura, la scultura, la danza, il canto accompagnato dal basso e dalle note elettriche di una chitarra. La sera in concerto, assembla tutte queste forme per far nascere una realtà fortemente surreale, a tratti psichedelica, che trascina come in un vortice il pubblico in un rituale ancestrale. L’energia misteriosa di Paestum, suo luogo d’origine e di vita, suggerisce simboli e decori provenienti dall’abisso dell’eternità, che evocati  calpestano i nostri stessi prati fioriti per raggiungere gli astri più lontani. Quando si assiste alla sua espressione massima in scena si resta sempre affascinati dalle numerose creazioni etniche (maschere, cappelli, oggetti vari…) mosse con passi sciamanici in maniera fluida e spontanea.

Il tuo spettatore deve liberarsi o librarsi…Danzando verso una nuova meta! Una delle tue ultime performance musicali?

“Il suono disegna lo spazio come il colore. L’idea di unire due suoni, la voce e il basso, lavorando di sottrazione, in un repertorio retrò completamente rivisitato, era un pensiero che avevo da tempo. La meta è altrove è un viaggio onirico che non vuole in nessun modo aderire alla realtà dei nostri giorni, ma prendere per mano chi lo ascolta e trascinarlo in un mondo parallelo”.

Vedo nei tuoi ultimi reportage fotografici volti e busti d’uomo sospesi su degli specchi.

“La mostra, a cura di Gabriella Taddeo, inaugurerà il 20 maggio alle ore 19 nella chiesa di Santa Maria della Lama, e resterà aperta fino al 27. Sono previsti anche degli interventi come una lettura di Brunella Caputo su di una selezione di testi poetici sul tema della specularità, la luce e l’ombra, ed un concerto accompagnato dal mio bassista Flavio Erra durante i giorni dell’esposizione. Un progetto fortemente voluto che è cresciuto pian piano, un racconto che è un autoritratto simbolico. Gli specchi come porte segrete, passaggi che conducono altrove, oltre le oscure spiagge dei sogni”.

Si chiama Il mondo parallelo. Racconta.

“Questa mostra è un autoritratto simbolico. Gli specchi sono quel traguardo da attraversare per cercare sé stessi, ma insieme schiudono le porte di un mondo immaginario, troppe volte violato, negli ultimi tempi da una società restringente. Non esiste una sola realtà o una realtà assoluta. Lo specchio ci rimanda più immagini di noi stessi come tasselli di un caleidoscopio. La verità va cercata in profondità, attraverso la superficie liquida del vetro, trasparente come l’acqua. Queste opere dipinte si lasciano osservare proiettando noi stessi oltre il confine che separa le oscure spiagge dei sogni”.

Rachele Siniscalchi Montereale

Leggi  QUI  la copia digitale de Il Commendatore Magazine.

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