Paestum, fuori l’obiettivo della cinepresa della mondanità, con lustri e sgargianti spettacolarizzazioni dal sapore globale, è spazio sospeso tra la terra reale e il cielo dell’intero universo temporale. Abitata da fantasmi della storia che continuano il loro viaggio nel vento stridulo, che parla nelle fronde degli alberi e nelle insenature più nascoste delle rovine della classicità; da pavoni che lamentano il loro persistere di guardiani da secoli nelle ore più svariate del giorno e della notte; dalle malinconie affogate nel silenzio più assoluto di un cocktail esplosivo di umanità sofferente che tenta di fotografare il momento clou di una singola tappa importante, senza riuscire a carpire veramente quell’angolo di mondo irripetibilmente cristallizzato in quel determinato istante di festa gaudente. Paestum è luogo della vita e della morte, per sempre, saecula saeculorum. Il tuffatore nel baratro dell’Oltretomba si protende con slancio verso questo mistero, l’ignoto, e Sergio Vecchio ne è l’ultimo testimone. Artista locale scomparso nel recente febbraio del 2018 al quale è dedicato il penultimo quaderno di storia dell’arte uscito lo stesso anno del professore Antonio Cuono (architetto e in servizio al liceo classico A. Gatto di Agropoli), “L’Anima del Mondo”, realizzato grazie all’osservazione e la dialogicità poetica tra i suoi alunni e gli scavi archeologici di Paestum, fotografati magistralmente dal fotografo Cristian Montone e l’architetto Nella Tarantino. L’introspezione più profonda per l’individuo che si accinge a vivere questo luogo si raggiunge con un salto, o tuffo, dell’anima nel remoto che, in questo presente, ne diviene un’ombra, anonima, solitaria intrappolata su una rappresentazione colorata di albe e tramonti. Silenzi, albe e tramonti. Tramonti, silenzi e nuove albe. La natura fa il suo corso.
Un frammento di volto della zona archeologica di Paestum.
Noi vogliamo, bruciati da questo interno fuoco, scendere nell’abisso. Cielo o Inferno che sia, e annegar nell’Ignoto, pur di trovare il nuovo! (Baudelaire)
Certo siamo destinati a librarci senza posa sull’orlo dell’Eternità, e non mai raggiungere il travolgimento finale nell’abisso. (A. Poe)
Rachele Siniscalchi Montereale